(foto Ansa)

a malaga

Italia-Serbia e la necessità di andare oltre la rivalità tra Sinner e Djokovic

Luca Roberto

La semifinale di Coppa Davis, presentata come l'ennesimo scontro tra il numero uno al mondo e l'altoatesino, è anche un'occasione di ribalta per i numeri due di entrambe le nazionali

In nessuno sport come nel tennis il gioco di squadra è un’esperienza straniante. Sei lì che lotti contro un avversario, contro i tuoi stessi demoni e a un certo punto dell’anno questa lotta la fai per conto del tuo paese, di un’intera nazione. Novak Djokovic l’ha capito come pochi perché è nel 2010, vincendo la prima e unica Coppa Davis della sua vita, che la sua carriera è svoltata. Prima di allora aveva vinto un solo slam. Dopo ne ha vinti altri 23. E’ per questo che guardando il calendario all’inizio dell’anno si è detto: voglio pagare il mio tributo, riportando la coppa a Belgrado. Sì, certo, in questa stagione si è conquistato tre major su quattro, ha chiuso la stagione da numero uno al mondo per l’ottavo anno, ma forse l’Insalatiera d’argento al fine di radunare migliaia di persone in piazza è la cosa più bella che c’è. Sopratutto per un campione che nutre un forte spirito patriottico, per non dire nazionalista. Così ha plasmato una delegazione che sin dal capitano Viktor Troicki dovrebbe rievocare il successo di 13 anni fa.

Troicki è colui che diede il punto decisivo contro la Francia, a Parigi. Scatenando bagordi sugli Champs-Élysées. Adesso è il commissario tecnico che carica Nole, lo tranquillizza in panchina. Lo si ricorda soprattutto perché giocava con gli occhiali da sole, un po’ come Janko Tipsarevic, altra leggenda del tennis serbo, miglior classifica numero 8 al mondo, uno dei pochi tennisti “quattrocchi” della storia, ritiratosi nel 2019 e che fa parte della delegazione in qualità di allenatore-tifoso. Eppure è difficile credere che questa squadra sia qualcosa d’altro rispetto a Djokovic. Per dire, cosa vi dicono gli altri componenti della squadra: Laslo Djere, Dusan Lajovic, Miomir Kecmanovic e Hamad Medjedovic? Si va dall’usato sicuro al giovane in rampa di lancio, ma ancora fuori dai top 100. In una parola: comprimari.

 

Ci si è molto concentrati sulla terza partita in dieci giorni tra il numero uno al mondo e Jannik Sinner, tacendo il vero parallelismo che vige in questo momento tra Serbia e Italia: la medietà delle seconde file. Non è un termine sminuente, tutt’altro. Anzi, sarà determinante. Perché se ci s’attacca ai propri numeri uno, da cui emergerà un solo vincitore, è tra i gregari che bisogna andare a pescare la carta vincente. E in questo le due compagini, arrampicatesi fino alle semifinali di Coppa Davis, si somigliano parecchio. Kecmanovic, probabilmente il secondo singolarista serbo, quest’anno ha perso con tre italiani: Musetti, Fognini e Vavassori. Djere ha battuto Musetti ad Amburgo. Lajovic è stato sconfitto da Sonego. Insomma, un grande livellamento in un campionato ben diverso rispetto allo sbrilluccichio del più forte tennista di tutti i tempi e del giocatore più in forma di questo fine 2023. Qualsiasi accoppiamento li farà partire alla pari.

 

L’altro giorno il coach dei Paesi Bassi, dopo aver perso il confronto con gli Azzurri, l’ha detto in chiaro: “Quando sono iniziati i problemi per noi? Quando Sinner è atterrato a Malaga”. Lo stesso discorso, ma moltiplicato per diversi fattori, ben s’adatta a Djokovic, che viene da 21 successi di fila in Davis e l’ultima partita l’ha persa nel 2011 contro Juan Martin Del Potro. Eppure in questa edizione pesa di più la prevalenza dei secondi. Ché sono lontani i tempi in cui la Spagna poteva schierare Rafa Nadal e Juan Carlos Ferrero e la Svizzera rispondeva con Roger Federer e Stanislas Wawrinka. Del resto, Sinner-Djokovic è anche la sfida tra chi gli fa da sparring partner. E se leggete questo articolo di domenica, saprete già chi ha avuto la meglio.