Foto Ap, via LaPresse

è calcio non un trattato d'etica

Che colpa hanno i calciatori se scelgono di andare da chi li paga meglio?

Giovanni Battistuzzi

C'è chi se ne va in Arabia Saudita, chi chiede la cessione ma costa troppo per essere acquistato, chi aspetta la fine del contratto per migliorare l'ingaggio. E ora sono anche le squadre più ricche, quelle che hanno contribuito a creare tutto questo, a lamentarsi. La colpa però non è dei calciatori

Qualche giorno fa alla radio France Info, Luis Campos, direttore sportivo del Paris Saint-Germain ha detto che è sempre più difficile dar vita a un progetto calcistico vincente di lunga durata a causa degli sbalzi d’umore dei giocatori. “Un giorno dicono di voler vincere tutto con questa maglia addosso, un altro chiedono la cessione. Servirebbero idee più chiare”, ha aggiunto con la voce un po’ imbronciata di chi non vorrebbe tutte queste seccature.

Tutto parecchio surreale. Negli stessi giorni il Paris Saint-Germain sussurrava alle orecchie di Ousmane Dembélé lusinghe e milioni di euro di ingaggio (“Sono deluso. Ci ha detto che vuole andarsene. Ha una proposta dal Psg e non possiamo competere con l’offerta che gli è stata fatta”, ha detto Xavi, colui che lo allena al Barcellona). E in questi anni il Paris Saint-Germain ha usato lo stesso metodo per decine di altri giocatori. Lamentarsi ora perché tutto questo lo si subisce è per una volta più assurdo che incomprensibile.

Ora in giro c’è chi garantisce ai calciatori cifre migliori di quelle che offrono a Parigi e non solo a Parigi. Non è stato solo il Paris Saint-Germain ad aver alzato in questi anni le offerte di contratto ai calciatori, è stato un club tra tanti. E’ il mercato, il calciomercato, che funziona così: il talento calcistico è merce rara, chi ne ha più degli altri va pagato e pagato tanto. Prendere o lasciare. Chi prima ha preso, contribuendo a far lievitare costo di cartellini e ingaggi, ora non può lamentarsi, anche perché chi ora prende lo fa in continuità con il recente passato.

Neymar è partito per l’Arabia Saudita dove intratterrà per due anni il pubblico della Saudi Professional League alla cifra di 80 milioni più benefit. L’Al Hilal ha sborsato al Paris Saint-Germain 90 milioni di euro per avere un attaccante di 31 anni che nelle ultime due stagioni ha giocato circa la metà delle partite che poteva giocare. Non è andata male ai parigini.

Come Neymar sono andati in Arabia Saudita molti altri. Acquisto dopo acquisto la Saudi Professional League sta diventando un bel giocattolino zeppo di calciatori che in questi anni hanno fatto ottime cose in Europa. Lo hanno capito le emittenti televisive europee, lo stanno capendo anche alla Uefa. La Federcalcio saudita sta infatti cercando di convincere Nyon a dare un posto in Champions League alla vincitrice del campionato. E Riad ha ottime argomentazioni finanziarie per riuscire a convincere chi decide le sorti delle coppe europee.

C’è chi si stupisce di tutto questo, chi è inorridito e tira in mezzo l’etica, i bei tempi andati, la bellezza del giocare in stadi mitici indossando gloriose casacche. Ci si appella sempre alle utopie quando non si vuole vedere che nella realtà tutto ciò ha meno peso di quanto siamo soliti dare. Siamo stati educati a considerare lo sport come qualcosa di nobile e non solo intrattenimento. Si educa per infondere quei valori che una società considera migliori, ma a volte ci si vizia di buoni valori. Checché ne dica l’Uefa, sempre pronta a incensare il suo sport di contenuti formativi che non ha mai avuto, il calcio, non solo il calcio, è un ottimo intrattenimento che va avanti di piacevoli rappresentazioni. Un sistema che prima aveva come centro gravitazionale le società professionistiche. Un centro gravitazione che piano piano è stato spostato attorno ai calciatori. Sono stati le società che pur di avere i migliori hanno lasciato che questi acquisissero poteri di negoziazione che prima non avevano. Per assicurarsene le prestazioni li hanno viziati con contratti e attenzione, gli hanno concesso in esclusiva il proscenio di un palco nel quale erano loro i primattori e tutto il resto era solo secondario contorno. C’è nulla di male, siamo in una società globale, l’intrattenimento ci arriva da ogni parte del mondo direttamente su uno schermo o una tivù. Basta solo finirla di accusare i calciatori di tutti i mali del calcio. Sono professionisti, sono sul mercato, hanno la piena facoltà di scegliere cosa fa meglio per loro.

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