(foto ANSA)

a milano

I mondiali di scherma l'hanno confermato: il fioretto azzurro non è più quello di Tokyo

Pierfrancesco Catucci

Gli ori di Volpi e Marini, l'argento di Errigo. Perchè i successi di oggi segnano un riscatto dal flop delle ultime olimpiadi. E permettono di guardare con fiducia a Parigi 2024

Arianna Errigo l’aveva detto nell’intervista al Foglio Sportivo di sabato scorso: “Il fioretto azzurro è tornato. Si è aperto un capitolo nuovo rispetto a Tokyo 2020”. I fatti, anche solo dopo le prove individuali dell’atteso Mondiale di scherma italiano, le danno già ragione. Se guardiamo ai risultati di specialità di Europei e Mondiali degli ultimi due anni troviamo tre triplette sul podio, due femminili e una maschile, più altre sei medaglie di ogni colore. A cui andrebbero aggiunti sei ori su sei a squadre. In attesa delle gare in corso in questi giorni. Urlano di gioia non tanto i sorrisi di Alice Volpi (oro), Arianna Errigo (argento), Martina Favaretto (bronzo) e Tommaso Marini (oro) degli ultimi due giorni a Milano, quanto il bellissimo e intenso abbraccio in pedana tra Volpi ed Errigo dopo la stoccata che ha regalato una gioia immensa alla prima e una “piccola grande delusione” alla seconda. O quello tra Marini e Filippo Macchi agli ottavi di finale. “Nella nostra squadra c’è uno spirito diverso – racconta sempre la neo mamma Errigo – e l’unione tra di noi compensa la sana competizione che ci deve sempre essere tra atleti. D’altronde, le mie compagne di squadra sono tutte ‘zie’ dei miei piccoli Mirea e Stefano (nati tre mesi fa, ndr). Non potrebbe essere altrimenti”.

 

Guardando il fioretto da questa prospettiva, sembra lontana un’era geologica l’Olimpiade di Tokyo quando l’argento individuale di Daniele Garozzo e il bronzo a squadre delle ragazze (Batini, Volpi, Errigo, Cipressa) fu vissuto come una delusione colossale. Da fuori, la commentatrice Elisa Di Francisca – una che ha contribuito a suon di vittorie a tenere altissimo il livello del fioretto azzurro – tuonò contro l’ex amica Arianna Errigo (accusata di essere troppo emotiva) e l’allora c.t. Andrea Cipressa, ritenuto inadeguato al ruolo. Una polemica che fece arrabbiare anche il guru del volley Julio Velasco che la giudicò intempestiva. Il punto di non ritorno del fioretto azzurro era arrivato e la lettera con cui gli azzurri sfiduciarono pubblicamente il c.t. gli diede anche una consistenza materica.

La storia, però, serve a ricordare da dove si viene e i successi del passato (dicono nulla nomi come Valentina Vezzali, Giovanna Trillini, Stefano Cerioni, Mario Numa?) meritavano un nuovo inizio. Così, dopo i Giochi di Tokyo, la Federscherma cambiò i quadri tecnici e al timone del fioretto riportò Cerioni (lo stesso di qualche riga più in alto) che, dopo aver chiuso il suo primo ciclo con l’Italia con il podio tutto azzurro a Londra 2012 (oro Di Francisca, argento Errigo, bronzo Vezzali), oltre ai successi a squadre sia maschile che femminile, aveva lavorato in Russia e aveva portato a sorpresa fino al bronzo olimpico in Giappone il ceco Alexander Choupenitch (la Repubblica Ceca non aveva mai ottenuto una medaglia olimpica). Cerioni il pragmatico, quello di “un bel colpo non porta due punti”, la filosofia che era riuscito a imporre anche a una scuola, quella russa, che faceva di stile ed eleganza due pilastri inderogabili. “C’è da lavorare – aveva raccontato in un’intervista al Corriere della Sera all’indomani del suo ritorno – perché il fioretto non è come l’ho lasciato, i valori sono inespressi. Bisogna consolidare, trovare, far crescere. Avrò tempo fino alla qualificazione olimpica dell’anno prossimo per varare la migliore Italia possibile”.

 

I risultati sono sotto gli occhi di tutti, ma anche la considerazione di atleti di punta come Arianna Errigo: “Stefano è un allenatore tosto – racconta – ma anche una persona onesta e trasparente. Anche lui ha i suoi spigoli caratteriali, ma è mosso da un fuoco: la vittoria. E tutte le sue scelte sono funzionali al raggiungimento di questo obiettivo”. Perché, per quanto sia uno sport individuale, anche la scherma ha dinamiche di squadra che devono funzionare. E, come in ogni squadra di ogni sport, ci sono anche rapporti e personalità da gestire. “Dall’organizzazione delle trasferte alle regole a tavola, per dire due aspetti apparentemente di secondo o terzo piano – prosegue Errigo – guidare un gruppo numeroso di atleti (15-20, per dare un ordine di grandezza, ndr) è tutt’altro che semplice. È fondamentale che in ogni gruppo ci sia un leader che sappia gestire i rapporti umani perché è facile che poi si trascenda e succedano disastri (non cita espressamente Tokyo 2020, ma…, ndr). Che questo leader sia il c.t., e Stefano lo fa benissimo, o un componente della squadra, poco importa. Ciò che conta è che ci sia”. Su queste basi il fioretto azzurro è tornato a brillare nelle ultime competizioni internazionali. Ora, però, c’è un altro obiettivo gigante da raggiungere: Parigi 2024, in una nazione, la Francia, con una profonda tradizione schermistica. Loro ci aspettano, noi stiamo lavorando nella giusta direzione per essere pronti.

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