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grande boucle

Le prestazioni di Vingegaard al Tour de France e la terribile cultura del sospetto

Giovanni Battistuzzi

La vittoria della maglia gialla a cronometro e l'ancora diffusa incapacità degli appassionati di provare stupore quando guardano il ciclismo. Gli errori del passato sono ancora un peso per i corridori di oggi

È grazie allo stupore, alla nostra tendenza a cercare di stupirci, che lo sport è diventato un pezzetto irrinunciabile delle nostre vite. I grandi atleti hanno da sempre pungolato il nostro stupore, hanno fatto strabuzzare gli occhi, scucito degli “incredibile” alle nostre bocche. Sono uomini come noi, ma fatti meglio. Fanno cose che noi non riusciremmo a fare e questo ci stupisce. Povero stupore. Ora è un po’ in crisi. Era un sentimento positivo, va mica così recentemente, sembra diventato un problema, un segnale di disgrazia, di crollo imminente. Soprattutto nel ciclismo.

In questo Tour de France i corridori di stupore ne hanno distribuito a pacchi, soprattutto Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar ne hanno distribuito a pacchi. Si sono attaccati, staccati, inseguiti, temuti, rispettati, stuzzicati, sportivamente e ciclisticamente menati. Per due settimane hanno pedalato vicini, hanno reso il Tour de France un gioco d’equilibrio sui secondi, pochi secondi, un racconto nel quale era difficile prevedere come sarebbe andato a finire. Poi è arrivato martedì 18 luglio 2023, la cronometro di Combloux. Combloux è un paesino di duemila anime che nella geografia del Tour de France non c’era mai finito. Ora è indimenticabile, è diventato il luogo di una delle più eccezionali imprese sportive degli ultimi decenni. Lì Vingegaard ha vinto in modo superbo, ha distanziato Pogacar di 1’28”, Wout van Aert di 2’51”. E tutto questo in soli ventidue chilometri. Una superiorità incredibile che ha concesso agli appassionati la possibilità di stupirsi: prestazioni del genere nella storia del ciclismo ce ne sono state poche. Lo stupore però ormai fa rima con sospetto in una parte degli appassionati di ciclismo. Ci si può stupire, è concesso, ma quando succede viene inteso come sintomo che qualcosa non va. Traspare dai social network, dai detti ma soprattutto dai sospesi di diversi articoli di giornale, dai commenti in radio.

Sono le colpe dei padri che ricadono sui figli. Gli errori, gli orrori, di chi è venuto prima di loro che travolgono questi ragazzi eccezionali che stanno rendendo il ciclismo di oggi un enorme divertimento. E sì che nessuno sport come il ciclismo ha cercato di darsi una pulita, ha sperimentato e trovato il modo di controllare i propri atleti. I corridori sono testati tutto l’anno, devono sempre essere reperibile per un controllo, hanno una schedatura di tutti i loro valori corporali – passaporto biologico – che al minimo cambiamento fa scattare approfondimenti mirati da parte dell’antidoping. Vivono in una sottospecie libertà vigilata. Tutto ciò sembra però non bastare. Come non basta il fatto che il ciclismo sia stato lo sport che negli ultimi cinque anni ha investito di più in ricerca su alimentazione e idratazione, sulle metodologie di allenamento. Per non parlare del passo in avanti nei materiali. Uno studio della Shimano ha reso noto come l’attrito generato dai nuovi movimenti centrali – ciò che fa girare le pedivelle – è sceso di circa il 15 per cento nell’ultimo decennio, quello dei mozzi – la parte centrale della ruota che permette di farla girare – di quasi il 20. Se le prestazioni migliorano però c’è qualcosa che non quadra.

Ed è un peccato che tutto questo accada. un peccato non provare a goderci appieno questi anni, perché sono anni di gare strepitose, come da tanti non se ne vedevano. Lo stupore sembra essere ormai diventato prerogativa solo dei ciclisti: “È stato uno dei miei migliori giorni. A un certo punto ho pensato che il mio misuratore di potenza fosse sballato, il dato era troppo alto”, ha confidato Jonas Vingegaard al termine della cronometro. Il giorno prima aveva detto: “Capisco e giustifico chi è scettico sulle mie prestazioni: sto andando fortissimo. Avere dubbi è importante: impedisce che il ciclismo ricada negli errori del passato”.