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Il Foglio sportivo

Quando in Champions League vince lo sfavorito

Giuseppe Pastore

Nel calcio del 2023 è ancora un vantaggio essere sfavoriti, ecco gli esempi che possono servire all’Inter. C’è anche Pippo

Nella storia recente delle finali di Champions League non si ricorda un divario simile a quello che sulla carta separerà Inter e Manchester City la sera del 10 giugno all’Atatürk Olimpiyat Stadyumu di Istanbul. Non era così sfavorito il Chelsea 2021, pur sempre una squadra di Premier League, che ebbe la fortuna di incrociare un City abbandonato da Kevin De Bruyne, prima mentalmente e poi nella ripresa anche fisicamente. Non era così sfavorito il Borussia Dortmund 2013, opposto a un Bayern quasi ingiocabile, ma comunque capace di tritare a domicilio il Real Madrid in semifinale. Forse il paragone più calzante è con la Juventus 2015, che con quest’Inter ha parecchio in comune a cominciare dal Costruttore, Beppe Marotta, pure in quel caso alle prese con una squadra lasciata a piedi da Antonio Conte. Anche quella volta seppe costruire con astuzia un gruppo di ottimi parametri zero (Pogba, Pirlo, Llorente), grandi vecchi (Evra, Tevez, sempre Pirlo) e italiani di valore (Marchisio, Ogbonna, Sturaro, naturalmente la BBBC). E il 6 giugno 2015, a Berlino, guardò negli occhi per oltre un’ora il super-Barcellona di Messi, Suarez e Neymar, prima di rimanerne fatalmente fulminato (cosa che, ovviamente, vorrà evitare l’Inter).


È ancora un vantaggio essere sfavoriti nel calcio del 2023, quando tutti sanno tutto di tutti e non ci si può illudere di restare nascosti nella boscaglia per 120 minuti com’era riuscito per esempio alla Steaua Bucarest 1986, nella cui imboscata precipitò con tutte le scarpe il favoritissimo e stressatissimo Barcellona, che come il City era divorato dall’ansia di “dover” vincere la sua prima Coppa? Certamente, con tutto questo calcio h24 che impedisce di pensare ad altro, è aumentato in modo esponenziale il fattore psicologico, l’ansia da prestazione che Guardiola sa governare fino a un certo punto, a giudicare dallo storico delle eliminazioni europee del City caduto in questi anni contro Monaco, Tottenham e Lione. L’Inter dovrà essere difensivamente perfetta e poi puntare forte sull’Episodio, altro classico intramontabile delle grandi finali. Una fiammata improvvisa dalla distanza (cfr. Felix Magath, Amburgo-Juventus 1983) o i cari vecchi calci piazzati, amici dei giorni più lieti, che giocarono a favore del Marsiglia 1993 che sconfisse il Milan Invincibile con una zuccata di Basile Boli a fine primo tempo. Aggiungeremmo al mazzo l’invenzione folgorante di un singolo, sullo stile del “tacco di Allah” con cui Rabah Madjer infilzò il Bayern Monaco nel 1987, ma quest’Inter ci sembra destinata a scollinare anche le salite più impervie sempre e solo con la forza del gruppo, come le migliori versioni della Nazionale Italiana, invece che con l’isolato virtuosismo di un funambolo alla Vinicius.


Infine, in mancanza d’altro, “proviamo anche con Dio non si sa mai”: l’allineamento dei pianeti, sorridente al Borussia Dortmund che nel 1997 sgominò la Juventus campione uscente in modo tuttora razionalmente inspiegabile, addirittura 3-1, con la gentile collaborazione di pali, traverse, parate, tiri da 30 metri e qualche fischio arbitrale a favore. Inzaghi guarda il cielo e attende un segnale, consapevole che la buona sorte non è estranea al casato di famiglia: suo fratello, deviando di spalla una punizione di Pirlo, ci ha addirittura vinto una Champions.

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