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Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA

Il Napoli velato. Cosa c'è dietro al terzo scudetto

Alessandro Bonan

Da un portiere come Meret, che non dovesa esserci, a un centrocampo che sembrava quasi non esistere, proiettato in avanti da Kvara e Osimhen. Proviamo a rendere esplicito ciò che è celato

Che cosa abbiamo visto di questo Napoli, celato ai più? Difficile rispondere, non siamo mica speciali, diversi dal popolo! Eppure qualcosa che è sfuggito dovrà pur esserci. Proviamo a rendere esplicito ciò che è velato, raccontando a voce bassa quello hanno visto di proibito i nostri occhi, rendendoci immortali, come uno dei protagonisti del celebre film di Ozpetek su una Napoli misteriosa, vissuta di notte, come le tenebre che hanno accolto il terzo scudetto degli azzurri.

 

Didascalicamente cominciamo dalla difesa, dove c’è un portiere che non doveva esserci. Meret non aveva lo stigma del comando, né il piglio dell’avventuriero. Spalletti avrebbe voluto un super eroe con la mantella indosso capace di volare anche fuori dai pali e giocare a calcio come un mediano. Meret è stato altro, efficacissimo nella sua compostezza, protetto da compagni che guardavano sempre avanti, mai indietro, se non per tagliare la strada a qualche scappato di casa Kim, il gendarme, o meglio l’ufficiale senza gradi, colui che in stile orientale ha fatto tutto bene senza farsi sentire, in punta di piedi, ricevendo solo due gialli in tutto il campionato. Fenomeno nell’anticipare tutto, anche la sola ipotesi di un errore.

Ai suoi fianchi due soggetti diversi nel carattere, l’educazione, ma uguali nell’intraprendenza. Mario Rui, maleducato e sporco (di quella noia che caratterizza i vincenti), ha attaccato e difeso. È stato lo scudo di Spalletti, il soldato pronto a dare la vita per lui. La stessa spinta garantita da Di Lorenzo, che ha indossato la fascia come si porta una corona, con nobiltà, specchio della sua anima. 

 

Del centrocampo si fa fatica a dire, perché la palla ha corso talmente forte verso l’attacco, che il mezzo, sovente, è sembrato che quasi non ci fosse. Per questo Spalletti ha chiesto soprattutto ordine a un professore, il piccolo Lobotka. A lui il compito di rendere la classe silenziosa, che a fare confusione ci avrebbero pensato quelli dell’ultimo banco: Kvara, Osi e un altro a turno. Gli irregolari, indisciplinati interpreti del calcio di Spalletti. La traduzione disorganizzata dell’ordine disposto. Le ali messe ai lati, sì, niente di nuovo, ma così rapide e ardite da suscitare negli avversari una paura costante, soprattutto il georgiano che con le gambe messe a rovescio, faceva finte anche alla luna.

 

Davanti a loro, al centro, fulmineo come un flash nel buio, il grande Osimhen, capelli di pannocchia sopra maschera d’attore. Atleta sublime, infinito come un grattacielo dentro le nuvole. Si conclude con lui il Napoli tricolore, perfettamente teorizzato e poi messo in pratica da Spalletti. Che adesso riposa felice con addosso il suo classico velo di ritrosia, una coperta leggera, completamente bianca, che d’ora in poi lo ripari dagli inevitabili eccessi. Un altro Cristo, in carne ed ossa, che non avresti mai immaginato potesse esistere fuori dalla cappella Sansevero.
 

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