Foto di Ashley Landis, AP Photo, via LaPresse 

Il foglio sportivo

Viktoriia è più forte della guerra. Intervista alla miglior ginnasta ucraina

Stefania Moretti

Onopriienko è la numero 4 al mondo. Per dieci giorni dopo l'invasione ha interrotto gli allenamenti. Ma "Noi siamo la Nazionale: in pedana siamo il nostro paese [...] Non smettiamo di allenarci anche sotto le bombe”

La sua palestra è in piedi. Come la sua casa. Come la sua vita, finché potrà continuare ad allenarsi. 
Per Viktoriia Onopriienko, vita e ginnastica ritmica sono la stessa cosa. Non solo perché è la numero 4 al mondo, decima alle Olimpiadi di Tokyo. E neanche perché ha iniziato a 4 anni, innamorata di quelle atlete che sembravano fate dai nastri colorati. Ginnastica ritmica è vita perché è un’oasi nel deserto della guerra: la sua città è Kyiv, l’Ucraina offesa è il suo paese, la Deriugina School la cornice di ogni giornata. 

Se dici Deriugina, in Ucraina, dici ritmica: è l’accademia più prestigiosa, dal nome di una dinastia di icone mondiali. Dalla leggendaria allenatrice Albina Deriugina, fondatrice della scuola, alla figlia Iryna, direttrice tecnica della nazionale, due volte campionessa del mondo e presidente della Federazione ucraina di ginnastica ritmica; fino alla nipote di Albina, Ireesha, coach, coreografa e coordinatrice della scuola. 

Kyiv non è la sventrata Mariupol. E neppure la sfinita Kharkiv dove, giorni fa, il palazzetto dello Sport del Politecnico si è sbriciolato sotto i missili russi. A volte la guerra prova a entrare nella palestra di Kyiv e a rompere la “bolla” di Viktoriia, fatta di musica e di un ricamo di movimenti sempre uguali. Rassicuranti. Finché le bombe non spezzano l’incanto. 

“Quando suonano le sirene antiaeree dobbiamo interrompere l’allenamento e scendere nei rifugi – racconta Viktoriia, con una compostezza più grande dei suoi vent’anni – Nel mio paese, in questo momento, si rischia sempre e a questo non ci si abitua. Cerchi di non pensare, di fare la tua vita e dare il meglio nel tuo sport. Poi suona un allarme e arriva la paura. Può durare 15 minuti o 3 ore. Senti i missili vicino a te, vicino a casa. Pensi a tua madre, provi a sentirla, a capire se sta bene. E alla fine torni di sopra e si ricomincia”.

Come fate a restare concentrate?

Diamo il massimo. Noi siamo la Nazionale: in pedana siamo l’Ucraina. Cerchiamo di dare l’esempio: siamo forti, non ci arrendiamo. È impossibile non pensare alla guerra ma ci sforziamo di fare il nostro dovere: allenarci per rappresentare al meglio il paese”. 

Hai mai smesso di allenarti? 

“Per dieci giorni, subito dopo l’invasione. In estate siamo rientrate a Kyiv, ma nei primi mesi di guerra eravamo a Uzhgorod, nell’ovest, dove la nostra allenatrice, Iryna Deriugina, ha portato me e molte delle mie compagne (ndr: c’è anche chi si è fermata per fare la volontaria negli ospedali, come Krystyna Pohranychna, da poco tornata a gareggiare). Non immagino la mia vita senza ginnastica, ma c’è stato un istante in cui ho pensato che la guerra fosse la fine. È stato un periodo duro: siamo passate da 10 ore di allenamento quotidiano a 4. Una volta è mancata due giorni la corrente, dopo un bombardamento a Dnipro: ci siamo allenate finché c’era luce. Non è stato facile riprendere i soliti ritmi ma dovevamo, o la forma fisica sarebbe peggiorata. Mi hanno aiutata i miei allenatori e la mia famiglia. Ora sono più forte”. 

Hai perso qualcuno? 

“Due parenti. Penso sempre a mio papà che è a combattere. Ogni giorno gli scrivo che sono fiera di lui perché difende la nostra terra. Era un atleta di scherma: mi ha insegnato la tenacia. Quando sono giù penso che per lui dev’essere ancora peggio. Aspetto sempre una sua lettera, una telefonata. Ci sentiamo quando si può”.

Hai mai pensato di lasciare l’Ucraina?

“No. Sono sempre stata legata alla mia terra. Le gare mi hanno portata in Giappone, in Estonia, in Spagna ma voglio sempre tornare a casa dal mio popolo”.

L’anno scorso e quest’anno hai gareggiato al campionato italiano con la società “Armonia d’Abruzzo”. Come ti sei trovata in Italia? 

“Splendidamente. La squadra mi ha offerto ospitalità poco dopo l’inizio della guerra. Mi sono venute a prendere una giudice e la mamma di una ginnasta al confine con la Slovacchia (ndr: Claudia Simeoni e Iryna Dobrovolska). Io avevo solo la tuta e poco altro”. 

Sui social sono state pubblicate foto di te e delle ragazze abruzzesi insieme, avvolte nella bandiera ucraina. Per te è un rito: non c’è gara che non si chiuda con la tua bandiera sulle spalle come un mantello o con i baci al lembo gialloblù del tuo body. 

“Mi fa stare bene. In un istante rivivo la mia vita felice prima della guerra e mi sento grata, fiera, leggera”.

In Spagna hai vinto l’oro al cerchio, in Estonia cinque medaglie. Sei tornata a cantare l’inno ucraino in un palazzetto dello sport. Cosa vuole Viktoriia per il futuro?

Vincere. La mia bandiera deve continuare ad alzarsi: ci alleniamo per questo. Sono felice di essere arrivata quarta ai Mondiali, specie dopo quest’anno terribile, ma voglio che il mio inno risuoni ancora. Voglio che la guerra finisca. Che l’Ucraina vinca. Che la mia famiglia sia salva. Tante ginnaste mi piacciono ma non voglio somigliare a nessuna. Voglio essere io a scrivere la storia”.