Un'immagine dalla partita contro l'Eintracht Francoforte (Lapresse)

Il Foglio sportivo

Il calcio arrogante del Napoli

Marco Gaetani

Sempre uguale, ma sempre imprevedibile e soprattutto sempre feroce: la forza della meravigliosa squadra di Spalletti sta nel non essersi mai risparmiata. E ora può sognare una clamorosa doppietta

Bello, sfrontato e sfacciato, con l’orgoglio di non aver mai fatto calcoli e la tentazione di potersi permettere il lusso di iniziare a farli. La forza del meraviglioso Napoli di questa stagione sta nel non essersi mai risparmiato, e nell’unica occasione in cui l’ha fatto ha pagato dazio contro ogni pronostico: era una notte di tempesta sul Maradona, gelato non solo dalla pioggia battente ma anche dal ribaltone inaspettato della Cremonese, in Coppa Italia. Nell’epoca del turnover, delle riserve fatte giocare con il bilancino nelle coppe per non vedere musi lunghi negli spogliatoi, Luciano Spalletti è andato praticamente sempre dritto per la propria strada: se esiste una squadra che nella nostra Serie A può vantare una formazione da recitare a mo’ di filastrocca, come si faceva nel calcio di altre epoche, questa è il Napoli. Ed è così che in Italia ha dettato legge, con un gioco fresco, europeo, propositivo, mai rinunciatario: volendo usare un’antica definizione di Walter Sabatini, è un calcio arrogante, che si nutre delle sfuriate di un Osimhen il cui ruolo centrale va ben oltre i gol. Non che guastino, certo, ma il nigeriano è anche portatore sano di quegli scossoni emotivi a volte decisivi nell’economia di partite che potrebbero anche scivolare nel dirupo della noia o della prevedibilità: compagni e tifosi si nutrono della sua voglia di andare sempre in verticale e di saltare più in alto dell’avversario diretto, i rivali devono invece giocare costantemente al massimo delle proprie possibilità per non esporsi a distrazioni che avrebbero il sapore della condanna a morte. La squadra azzurra viaggia seguendo il respiro di questo centravanti ferocemente proteso verso la vittoria, ne assorbe le energie e le riversa in campo, sovrastando avversari che sempre più spesso si ritrovano a fare da modesti sparring partner.

 

Un Napoli sempre uguale eppure sempre imprevedibile: guardi Kim e non pensi più a Koulibaly, vedi giocare Di Lorenzo e scopri un’influenza nel gioco che richiama quella dei terzini più moderni e apprezzati in Europa. Anguissa e Lobotka viaggiano a memoria, Zielinski sembra quello meno efficace in questa fase di stagione, ma sa bene di avere alle spalle un Elmas perennemente pronto a incidere e per questo non può più permettersi quelle lunghe pause che ne hanno arginato la definitiva esplosione negli ultimi anni. Una filastrocca, appunto, con l’incognita principale rappresentata dall’undicesima maglia da assegnare, quella che negli anni Settanta sarebbe toccata al numero 7, l’ala destra: Politano o Lozano, Lozano o Politano. Dall’altra parte c’è chi di 7 ne ha ben due sulle spalle: il calcio a tratti primordiale di Kvaratskhelia è illeggibile per i difensori, che ormai fuggono e indietreggiano mossi da un sacro timore del dribbling, esponendosi però a doti da stoccatore che ormai non possono essere più taciute. Chi deve affrontarlo cerca di scegliere il male minore, ammesso che ne esista uno. Spalletti vince perché il suo Napoli attacca sempre, con principi solidi e modalità di applicazione che possono variare: Osimhen che va a vedere cosa c’è alle spalle della linea difensiva, utilizzando un concetto caro al tecnico, oppure che aspetta a centro area un cross calibrato per la sua debordante elevazione; Kvaratskhelia che sembra perfettamente padrone di ogni aspetto del match, dando alla squadra quel che serve in base alle esigenze; Anguissa che pressa o temporeggia, aggredisce o gestisce.

 

Anche la piazza più scaramantica d’Italia sta ormai soltanto contando i giorni che mancano allo scudetto, ma quel che forse in pochi avrebbero immaginato è che l’autostrada per Istanbul potrebbe dover passare soltanto dall’Italia: l’incrocio con il Milan nei quarti di finale, quindi, in caso di passaggio del turno, quello con la vincente di Inter-Benfica. A vedere il canyon che si è creato in classifica, si fatica a ricordare che l’unico precedente stagionale tra Spalletti e Pioli era stato risolto, dopo 78 minuti di botta e risposta, da un colpo di testa fulminante di Simeone. Fu una gara più equilibrata di quanto dica ora il distacco, e chissà se il Napoli vivrà questa fase decisiva della sua campagna europea senza fare calcoli, come ha fatto finora, o si farà sedurre dall’utilizzo delle marce per preservare un motore che fin qui non ha mostrato alcun segno di cedimento. Il gap in ottica scudetto è tale da giustificare ragionamenti conservativi, ma la bellezza del Napoli di quest’anno sta anche nella sua voglia di affrontare ogni partita come se fosse l’ultima: avrebbe potuto provare a gestire la sfida di ritorno contro l’Eintracht, invece ha azzannato il rivale alla giugulare, senza concedere ai tedeschi neanche la possibilità di respirare.

 

Saranno settimane complicate soprattutto a livello mentale, perché quel che pareva impossibile qualche mese fa ora è un concetto estremamente attuale: il Napoli non solo vincerà lo scudetto, ma può sognare di arrivare in fondo in Champions League. Spalletti ha già annusato il clima, i complimenti che celano provocazioni più o meno evidenti: per questo alza la voce quando sente Guardiola che sposta i riflettori dal suo Manchester City, creatura plasmata da milioni sonanti, per dirigerli verso un Napoli che è invece il capolavoro delle idee. “Questo è un giochino che conoscono tutti, ti pongono in alto perché sanno che devi cadere”, ha ammonito con lo sguardo penetrante e il tono di voce fermo: tratti salienti di un carattere spigoloso e rigido, forgiato dal culto del lavoro come unica stella polare. A questi livelli, il Napoli è sostanzialmente una novità: mai aveva raggiunto i quarti eppure, a pensarci bene, è difficile rintracciare nel passato una mina vagante in grado di sembrare in maniera così concreta una pretendente credibile quantomeno all’approdo in finale. La Champions League è la competizione dei dettagli, come ama ripetere José Mourinho: se il Napoli continuerà a dominarli, senza farsi confondere da tutto quel rumore di fondo che gli sta girando attorno, potrà continuare a splendere. 

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