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Il Foglio sportivo

A lezione dal professor Mancini: così si fa squadra

Umberto Zapelloni

Una giornata con il ct azzurro che racconta i suoi segreti: "Dare al gruppo un obiettivo e cercare di perseguirlo con tutte le proprie forze". Sincerità, coraggio e amicizia per vincere

Roberto Mancini in versione professore non lo avevamo mai visto. In campo, in panchina lo conosciamo, lo conoscete. Ma eccolo sul palco di una convention aziendale a trasmettere i valori su cui ha costruito una vita di successo. Di fronte al ct azzurro ci sono i manager di Petronas, lo sponsor principale della Mercedes di Lewis Hamilton e George Russell, un’azienda malese (avete presente le torri gemelle di Kuala Lumpur) che ha la sua base per la ricerca avanzata dalle parti di Torino. Il convegno, organizzato da Factory Group, si intitola “Perspectives for a thriving future”, prospettive per un futuro florido, prosperoso. Quello che viene chiamato discorso motivazionale lo ha tenuto Roberto Mancini ripercorrendo la sua carriera e trasformando episodi di vita vissuta, aneddoti e battute in lezioni di management. Di fronte ha una platea internazionale. Non è un problema per chi ha allenato in Inghilterra, Turchia, Russia e vinto un Europeo con gli Azzurri battendo gli inglesi a casa loro. Mancini è il professore che tutti avremmo voluto. Racconta, stimola, insegna senza salire in cattedra. Parte dalla Sampdoria e arriva a Wembley, all’abbraccio con Vialli che avrà sempre nel cuore. La sua idea di leadership si basa sul coraggio, sull’amicizia, sulla sincerità. Racconta come si gestisce la pressione, come si controlla l’euforia, come si ribalta un pronostico vincendo da sfavoriti, ma anche come si riparte dopo una sconfitta che fa male e un dolore che fa ancora peggio, come la perdita di Sinisa e Luca, un amico e un fratello. 

 

All’inizio c’è la Samp e un presidente come Paolo Mantovani che ha trasformato il sogno in realtà senza far sentire alla squadra il peso delle responsabilità, anzi dando loro la possibilità di sbagliare. “Riuscì a creare una squadra di ragazzi giovani che nel tempo si è costruita uno spirito vincente fondato sull’amicizia, fondamentale per poter raggiungere obiettivi importanti. Ci ha messo nelle condizioni migliori, permettendoci anche di sbagliare. Eravamo una squadra che poteva battere chiunque e perdere contro chiunque… tant’è vero che nella Juventus di allora, quando giocava contro la Samp, si diceva ‘affrontiamo una squadra di fenomeni’ perché sapevano che avremmo potuto batterli, ma il turno dopo perdere contro la peggiore del campionato. Nelle prime stagioni abbiamo attraversato anche momenti difficili, proprio perché eravamo una squadra giovane e inesperta: ma dietro c’è sempre stato Mantovani, la fiducia che trasmetteva ci ha permesso di migliorare. La nostra forza è sempre stata l’amicizia tra noi giocatori, la voglia di raggiungere un obiettivo tutti insieme”.

 

Uno spirito di gruppo che si è magicamente ricreato nella nazionale che ha vinto l’Europeo. “Quell’atmosfera è rimasta una cosa particolare e quasi unica, forse anche perché poi i tempi sono cambiati, all’epoca nei club si potevano avere due-tre stranieri al massimo… poi le squadre si sono riempite di giocatori provenienti da ogni parte del mondo e quindi diventava più difficile creare uno spirito di gruppo. Cosa che invece siamo riusciti a fare nel mese e mezzo in cui siamo stati insieme per gli Europei: ecco, lì ho ritrovato uno spirito di unità tra i giocatori che mi ha ricordato un po’ quella squadra”. Uno spirito che aveva in Roberto e Luca, in Mancini e Vialli (ma anche in Attilio Lombardo) il minimo comune denominatore con quella Samp. “Io e Luca ci siamo veramente voluti bene come due fratelli acquisiti, abbiamo vissuto insieme, abbiamo dormito insieme, abbiamo fatto tutto insieme e ringrazio Dio di averlo conosciuto e di avere avuto la possibilità di condividere con lui tante cose. Quando ci ritroveremo per la prima volta senza di lui vorrei ricordarlo come se fosse sempre con noi perché lui sarà sempre con noi”.

 

L’amicizia è stata fondamentale per creare l’ambiente di lavoro quasi perfetto: andare ‘in ufficio’ sapendo che ti divertirai, che passerai del tempo insieme a tuoi amici, ti dà qualcosa in più. Se alla base di quello che fai ci sono divertimento e passione tutto diventa più facile. Anche quando capita di affrontare qualche problema, se alla base ci sono amicizia, rispetto ed educazione, tutto si risolve. Se una volta devi alzare la voce, tutto finisce lì. E questo credo sia importante sempre, allora come oggi”. L’amicizia però non deve annullare le rivalità interne. Mancini ricorda la sua con Vialli: “Credo che la competitività sia uno degli aspetti vincenti di un team, il voler migliorare, l’avere ammirazione anche per un tuo compagno di squadra che magari in quel momento lì può essere l’uomo-squadra… sono cose basilari per raggiungere obbiettivi ambiziosi”. Una competitività che non restava in campo. “… mi ricordo questa cosa simpaticissima con Luca: io al Presidente dicevo “ma scusa, io sono alla Sampdoria da più anni di lui, ho una militanza maggiore…” ma alla fine Luca prendeva sempre di più – ricorda sorridendo Roberto – A Mantovani questa cosa divertiva, ti diceva “sì sì va bene…” però alla fine a Luca dava sempre di più. Ma scherzare su questa cosa fa capire che bel clima ci fosse. Mi ricordo che noi non vedevamo l’ora che finissero le vacanze estive per ritrovarci: era proprio sintomo di una cosa bella, familiare, di un ambiente che ci mancava”.

 

Dal campo alla panchina per il Mancio il passo è stato breve, anzi brevissimo, racconta che già a 25 anni voleva prendere il patentino. Eppure non aveva un caratterino facile come ricorda bene anche Arrigo Sacchi. Una volta arrivato in panchina, con esordio senza patentino alla Fiorentina, devi imparare a lavorare con i giocatori che ti trovi. “Può capitare di ritrovarti giocatori non funzionali alla tua idea che devi comunque far rendere al massimo. Credo che questa cosa succeda in tutti i lavori: magari sei obbligato a lavorare con persone non scelte da te che però possono comunque rivelarsi utili”. Se invece i giocatori li scegli tu, non sempre si guarda solo al talento: “Il valore tecnico credo sia imprescindibile per quanto riguarda il progetto, poi in un gruppo è importante avere delle persone che abbiano dei valori anche a livello comportamentale, che siano in grado di adattarsi al contesto e agli altri che ci sono già”. E qui Mancini fa l’esempio di Balotelli, uno che con lui ha “quasi” funzionato. “In questi casi devi cercare comunque di metterlo nelle condizioni di rendere al meglio, perché rappresenta sempre un valore economico importante per la società e soprattutto per la squadra, perché ti può aiutare a raggiungere i risultati, quindi credo che l’allenatore debba essere in grado di trovare veramente la soluzione e ripeto, non è sempre semplice. Io con lui a volte ci sono riuscito, altre no. Per questo sono convinto che tra le qualità di un bravo allenatore, a parte l’abilità tecnica, la capacità di motivare la squadra è quella che può fare la differenza. Poi per ottenere risultati il saper dare alla squadra un obbiettivo e gli strumenti per arrivarci è basilare. Io penso sempre che anche se tu o la squadra non siete i migliori, bisogna puntare al massimo perché è questo che ti dà la forza di crederci sempre. Dare al gruppo un obiettivo e cercare di perseguirlo con tutte le proprie forze: questo insegnamento funziona anche per un manager. Cercare di ottenere il massimo dalla struttura e dal gruppo che hai a disposizione”. 

 

Gestire il talento è una delle difficoltà maggiori per un allenatore, come per un manager: “Il talento è fondamentale, però va anche messo a disposizione della squadra. Perché un talento fine a sé stesso a volte crea anche problemi. Prendiamo le convocazioni prima dell’Europeo: ci sono stati dei momenti in cui abbiamo dovuto fare delle scelte e abbiamo preferito un giocatore che andava meglio per la squadra piuttosto che un altro più dotato. Non è stato semplice rinunciare al giocatore di talento, soprattutto in una competizione in cui vai a giocare partite da dentro o fuori, perché il giocatore più dotato te la può risolvere in qualsiasi momento, quindi è chiaro che mi è dispiaciuto, ma cercare di mettere insieme un gruppo con cui poter lavorare è la cosa più importante. Certe volte privilegi il gruppo, il pensiero che hai del gruppo, rispetto ai singoli perché hai l’obbiettivo di arrivare”. E qui arriva il coraggio delle scelte. Un altro ingrediente fondamentale. Mancini ne ha avuto in abbondanza quando è andato a inventarsi giocatori che nessuno conosceva, come Zaniolo o Gnonto per citarne due. “Non avevamo il Totti, il Del Piero e i giocatori che ci sono stati negli anni passati in Italia… quindi l’obbiettivo era quello di mettere insieme la squadra, farla giocare bene con i giocatori tecnici: piano piano siamo riusciti a costruirla, abbiamo trovato giocatori che magari anche se non primeggiavano in Serie A erano funzionali al progetto”. 

 

Dopo l’Europeo è arrivata la mancata qualificazione al Mondiale. La caduta più clamorosa. La tentazione di lasciare, ma poi soprattutto la voglia di rivincita: “… a volte ci sono situazioni dove tu vinci e lasci da vincente però ci sono delle occasioni in cui perdi, perché lo sport è fatto anche di questo. Come tutti i lavori è fatto anche di sconfitte e di delusioni e quindi  bisogna avere la forza ed essere più forte di quando vinci per poter ricominciare e questo è stato uno di quei momenti lì. A una sconfitta così non ci si può mai preparare, però c’è il modo di reagire. In questo caso la voglia di andare avanti e raggiungere l’obbiettivo che mi sono prefissato è stata più forte di tutto. Io avrei voluto vincere Europeo e Mondiale consecutivamente in 4 anni, non ci siamo riusciti, però sarebbe una cosa fantastica riuscirci fra 4 anni”. Il sogno si è solo interrotto. Lasciatelo ricominciare.

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