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Champions League

Il Milan concede ai suoi tifosi più giovani di vedere l'effetto che fa giocare i quarti di Champions

Giovanni Battistuzzi

Era da undici anni che i rossoneri non entravano tra le otto migliori squadre europee: una generazione e mezza di milanisti non ha ricordo di questo. Per riuscirci Pioli ha riannodato i fili della squadra con la storia Casciavit rossonera

Undici anni sono abbastanza per passare dall’età fanciulla, dove tutto o quasi si basa sull’immaginazione, a quella adulta, dove dovrebbe prevalere il senso di razionalità; sono un tempo sufficiente per passare dal giocare con gli amici al giocare coi propri figli; sono un salto temporale tecnologico che a rivedere le immagini di undici anni prima quasi non ci si crede che davvero così fosse la tivù. Undici anni sono soprattutto due classi di studenti che hanno fatto l’intero ciclo scolastico tra elementari e medie senza vedere il Milan ai quarti di finale di Champions League. Per carità c’è di peggio, è abbastanza chiaro, ma il fatto sussiste e, paradossalmente, ha portato riportate le nuove leve del milanismo più vicine alle vecchie leve rossonere, i loro nonni, che all’esperienza dei loro genitori.

   

Per i “figli” del boom rossonero dell’èra Berlusconi il Milan è sempre stato molto vincente, soprattutto in Europa. Questo hanno visto, di questo sono stati convinti. C’era una selezione della storia. C’erano i racconti magici di Gianni Rivera e Nereo Rocco, di Pierino Prati e Giovanni Trapattoni. Come fosse sempre stato così, come se il Milan che tirava la carretta per un posto di metà classifica, quello dello “zero a zero anche ieri 'sto Milan qui, / sto Rivera che ormai non mi segna più, / che tristezza, il padrone non c'ha neanche 'sti problemi qua” di jannacciana memoria, non fosse mai esistito. C’era più nell’èra Berlusconi il Milan Casciavit, quello del Milan che si barcamenava molto, vinceva ogni tanto, ma che vittorie.

 

          

Il Milan di Stefano Pioli dopo il secondo aggiornamento del software è tornato Casciavit. Era bello ed elegante, aveva provato a diventare elitario, si è ritrovato buttato fuori a calci nel sedere da un mondo che voleva conquistare. Avevano suonato pure il De profundis a Stefano Pioli, sotto sotto gli avevano dato del bollito, erano già giunti al terzo grado del processo. Serve però gran calma, come dice da inizio stagione Enrico Veronese nella sua rubrica sulla Serie A, con il calcio, perché quello che è vero fino a una settimana prima potrebbe non esserlo più una settimana dopo: è mica scienza, è solo un gioco e nei giochi basta un tiro di dadi sbagliato e tutto si incasina. Se l'erano solo tirata un po' troppo al Milan, si erano creduti forti e difficilmente battibili e quando si sono scoperti più frangili di quanto avessero immaginato sono andati un po' in tilt. Serviva il più classico spegnieriaccendi: è arrivato sotto forma di 3-4-3, che fa molto cura Zaccheroni.

  

Il Milan di Stefano Pioli da bello che era si è trasformato in brutto, sporco e cattivo. D'altra parte la Champions League è quasi mai una sfilata di bellezza. Agli ottavi di finale di Coppa contro il Tottenham, si è fatto bastare un 1-0 casalingo, a San Siro, nell’ormai pare abbandonato San Siro. È salito mercoledì 8 marzo a Londra con l’obbiettivo di passare il turno, che voleva dire una cosa soltanto: non prendere gol. E ha giocato per non prendere gol. Missione compiuta: Mike Maignan ha dovuto fare due parate, una di piede per respingere un tiro deviato, una più bella e a effetto, che miracolosa su colpo di testa di Harry Kane. Poi certo ha pure attaccato, si è mangiato qualche gol, ha sprecato più di qualcosa. Ha pressato altissimo, recuperato palle nella metà campo della squadra di Antonio Conte, si è fatto applaudire per cattiveria e consistenza per più di qualche buona azione.

   

Un pubblico che però ha soprattutto applaudito Olivier Giroud, nobile Cyrano de Bergerac del pallone, che non ha mai trovato sacrilego dare una mano, fare il lavoro sporco, dare qualche calcio dopo averne presi parecchi, come è da destino comune di tutti i grandi attaccanti. Poteva essere un bauscia Giroud, poteva arrivare a Milano e svernare ricordando a tutti che lui aveva vinto tutto, dal Mondiale alla Champions in giù, che lui i gol li deve fare. Poteva, ma non è mai stato nelle sue corde il solo chiedere e pretendere.

    

Il Milan torna ai quarti di finale di Champions League dopo undici anni. Concede alle nuove leve del milanismo e alle non più nuove di vedere l'effetto che fa arrivare tra le migliori otto d'Europa. Si concede almeno due partite in più in Europa, nel luogo a cui ha sempre ambito, e questo è cosa che accomuna nipoti, padri e nonni. Perché il far bene nel mercoledì di coppa era ambizione pre-èra-berlusconi.

   

Il Milan torna ai quarti di finale di Champions League, ma è meglio che non ricordi gli ultimi, quelli di undici anni fa, quelli contro il Barcellona dell’ultimo Guardiola, del non troppo riuscito Messi-Sanchez-Pedro (o Cuenca). Era un altro Milan, era un altro calcio, era un altro Stefano Pioli, alle prese allora con una fuga dalla retrocessione e un inseguimento all’Europa a Bologna.

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