sport e memoria

La pallacanestro per dimenticare la Shoah. L'amore per il basket di Ralph Klein

Francesco Caremani

L'ex giocatore e allenatore era nato a Berlino, ha cercato di sfuggire all'antisemitismo in Ungheria. Suo padre fu deportato ad Aushwitz, lui riuscì a salvarsi. I tiri a canestro in Israele e le grandi vittorie da coach a Tel Aviv e con la Nazionale israeliana, prima del ritorno in panchina in Germania

We’re on the map”. Le parole di Tal Brody, guardia statunitense naturalizzata israeliana del Maccabi Tel Aviv, risuonano ancora nel palazzetto di Virton, Belgio – il campo neutro deciso per la sfida –, e seguirono la vittoria contro il CSKA Mosca di Sergej Belov, decisiva nel girone di semifinale di Coppa dei Campioni del 1977. La squadra di Brody, appunto, Griffin e Berkovitz vincerà poi la finale contro la Mobilgirgi Varese, alla sua ottava delle dieci consecutive di quegli anni, che le fruttarono cinque coppe.

    

L’allenatore del Maccabi era Ralph Klein, nato a Berlino nel 1931 da una famiglia ebrea ungherese che di fronte al crescente antisemitismo si trasferirà a Budapest, dove il padre sarà arrestato e deportato ad Auschwitz. Lui e il resto della famiglia devono, invece, lo scampato pericolo a uno dei giusti di quegli anni, Raoul Wallenberg, il quale insieme a trecentocinquanta persone creò una rete capace di salvare centinaia di ebrei destinati ai campi di concentramento, grazie a dei salvacondotti svedesi e a numerosi nascondigli. Come lui, a Budapest, agirono l’italiano Giorgio Perlasca che si sostituì al console spagnolo, lo svizzero Carl Lutz e il portoghese Sanpaolo Garrido. Wallenberg riuscì, tra le tante azioni, a corrompere i vertici del partito nazista ungherese che voleva far saltare in aria il ghetto ebraico con dentro 70mila persone. La sua ricompensa è stata la morte in uno dei gulag sovietici.

   

Quando Ralph, quattordicenne, esce dal nascondiglio, trova Budapest distrutta e i carri armati russi sulle rive del Danubio. Amante del calcio, grazie al padre, trova nella pallacanestro il suo sport d’elezione, in un paese che era una potenza anche nella pallanuoto: fisico, talento e approcci avveniristici al gioco mescolati insieme produrranno alcune generazioni di grandi sportivi. Nel 1951, però, la famiglia Klein decise di emigrare in Israele, dove Ralph divenne subito guardia del Maccabi Tel Aviv, che allenerà a più riprese, e della nazionale israeliana.

   

Autore di 2.701 punti in 160 partite, da allenatore e appassionato di basket statunitense costruì negli anni squadre capaci di vincere il titolo nazionale e di farsi valere in Coppa dei Campioni. Nel 1977 la sfida contro il CSKA non era solo sport. L’Urss aveva incarcerato il suo salvatore, non riconosceva Israele e impediva agli ebrei russi di emigrare. Generalmente quelle sfide finivano a tavolino perché i sovietici non si presentavano, ma non quella volta, la posta in palio era troppo alta. Battuto il CSKA Mosca e poi Varese il Maccabi vinse la sua prima Eurolega, oggi sono sei. Ralph Klein nel 1979 porterà la nazionale israeliana, che allenava contestualmente al club, all’argento europeo di Torino, perdendo la finale proprio contro l’Unione Sovietica; gli scherzi del destino.

      

Nel 1983 la decisione che, più di altre, ha lasciato un solco nella sua esistenza: accettare la panchina della nazionale della Germania Ovest e del Saturn Colonia. Lui ebreo ungherese scampato alla Shoah che allenava la squadra tedesca. In quella scelta c’era tutta la sua personalità e il suo carattere, ma dietro quel gesto, per alcuni simbolico, c’era la volontà di lasciare soprattutto un segno sportivo e anche se non vinse niente in quegli anni fece crescere la pallacanestro tedesca capace con lui di raggiungere risultati insperati, come l’ottavo posto ai Giochi Olimpici del 1984 e il quinto all’Europeo di Stoccarda dell’85.

   

Qualcuno ha voluto leggere nella scelta di Ralph Klein un gesto catartico – quasi a chiudere un cerchio di chi si riprendeva una parte di sé che gli era stata tolta dalla storia –, la sutura di una cicatrice, ma certe cicatrici restano aperte per sempre e non c’è sport o vittoria che possa lenirle. Semmai la vita sportiva di Klein – morto il 7 agosto 2008 – è stata quella di un uomo alla ricerca di riempire un vuoto, quell’insoddisfazione perenne che pervade i perfezionisti o coloro che vogliono continuamente misurarsi con prove nuove e mai banali.

   

Ha vinto la prima Coppa dei Campioni di basket con una squadra israeliana, all’interno del dominio di Urss, Spagna e Italia, ha risollevato le sorti della pallacanestro tedesca, ha sconfitto i sovietici nella prima volta che hanno alzato la testa per riconoscere sportivamente (nel basket) Israele, ricordandogli dove sta nella mappa del mondo. Lo ha fatto da ebreo, ungherese e tedesco, lo ha fatto avendo l’amore per la pallacanestro come stella polare. Si potrebbe dire che ha sublimato sé stesso trovando nello sport l’unica vera bandiera nella quale riconoscere e riconoscersi.

Di più su questi argomenti: