Foto Ap, via LaPresse

La commedia calcistica di Neymar

Francesco Gottardi

È il miglior dribblatore in circolazione, ha segnato più di 400 volte, servito quasi 250 assist (circa come Messi alla sua età) e alzato tutti i trofei che poteva vincere tranne il Mondiale. Eppure viene ricordato più per le sue simulazioni e i suoi rotolamenti che per le sue doti calcistiche

Le malelingue parlano di teatrino premeditato: il richiamo del Réveillon, il Capodanno brasiliano, è irresistibile. E l’espulsione rimediata da Neymar nell’ultimo match del 2022 casca a pennello. Ma perché dubitare di lui: è un autentico simulatore. Etichetta necessaria, fra le tante superflue del calcio di oggi. Altrimenti come definire quei personaggi tipo dai connotati costanti nel tempo? Si pensi a Massimo Marianella, quando diede a Joey Barton del criminale. Ecco. Per pathos e irritazione della voce narrante, quella storica telecronaca è sembrata riecheggiare in Gianluigi Bagnulo, il collega di Sky Sport incaricato della diretta di Psg-Strasbourg: “Due gialli in un minuto e mezzo per Neymar, che questo vizio non se lo toglierà mai! Incredibile come un giocatore di valore mondiale possa cascare ancora negli stessi errori”.

  

È la sintesi della carriera di O Ney. Benedetto dal talento, dal suo paese e da Pelé. Che perfino dall’ospedale, mentre la Seleção lasciava mestamente il Qatar, ha voluto incoronarlo così: “Ti ho visto crescere, tifavo per te ogni giorno e ora posso congratularmi con te per aver eguagliato il mio numero di gol con la Nazionale (77, ndr)”. Ma allora perché, a trent’anni suonati, il fuoriclasse del Paris Saint-Germain sembra tanto lontano dal gotha del pallone? È il miglior dribblatore in circolazione, ha segnato più di 400 volte, servito quasi 250 assist (circa come Messi alla sua età) e alzato tutti i trofei che poteva vincere tranne il Mondiale. Essere esploso negli anni di Leo e Cristiano, per poi maturare all’ombra di Mbappé, non sarà la congiuntura astrale idilliaca. Però non basta. Alan Shearer lo definisce “patetico”. Per Van Basten “è un provocatore che finge di essere vittima: applaudirei se qualcuno si occupasse di lui”. Tradotto: dategli sulle gambe. Detto da chi vide il proprio genio condannato dagli infortuni, invito che fa riflettere.

  

Il punto è che il funambolico brasiliano è anche tutto il resto. Neymar che si tuffa, Neymar che urla quando lo sfiorano, Neymar che si rotola a terra come una salamella – sei volte di fila, contro la Serbia ai Mondiali del 2018. Sul web impazzano meme, compilation YouTube, highlights sulle prodezze alternative del giocatore. Che talvolta diventa giocoliere, irride, salta l’uomo con facilità disarmante e non contento lo imbroglia. È così dai tempi del Santos, del Barça. Dopo il torneo russo, lo stesso Neymar dichiarò “di aver riguardato tutte le mie giocate per chiedermi se stessi davvero simulando”. Parole al vento, a Parigi non cambia musica. Pure quest’estate la fa franca: prestazione sontuosa in amichevole, poi un saltello e hop, rigore. Pioggia di critiche, lui fa l’indiano, un altro Mondiale è alle porte. Lì Neymar va ko contro la Serbia, teme il peggio, risorge meraviglioso tra ottavi e quarti ma non evita l’eliminazione dei suoi. Di nuovo nel tunnel. E il cheating è come una droga: alla prima chance manata in faccia a un avversario, collasso in area, sipario. Se la commedia non vi è piaciuta, liberi di fischiare.

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