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Qatar 2022

Solo lacrime per Neymar ai Mondiali

Gianluca Cedolin

Dopo il gol del vantaggio contro la Croazia il destino del numero dieci sembrava essere quello di guidare verso la conquista della Coppa del mondo la sua Nazionale, come i migliori attaccanti verdeoro del passato: Pelé, Romario, Ronaldo. Gli è andata male anche questa volta

Al minuto 106 di Brasile-Croazia, Neymar Jr ha preso palla sulla trequarti e l'ha scambiata prima con Rodrygo e poi con Paquetà; chiuso un triangolo di abbagliante bellezza con l'ex Milan, ha resistito all'arrivo di Sosa con una spallata, con un tocco di destro ha aggirato Livakovic e con un altro ha scaricato sotto la traversa il gol dell'1-0. Il numero 10 del Brasile stava finalmente compiendo il suo destino, quello di guidare verso la conquista della Coppa del mondo la sua Nazionale, come i migliori attaccanti verdeoro del passato: Pelé, Romario, Ronaldo. Non è andata così ancora una volta. Nel 2014 era stato un fallo durissimo di Zuniga a distruggere il sogno (e la schiena) di Neymar e di un Brasile che, senza il suo faro, si era spento nella peggior maniera possibile, prendendo 7 gol dalla Germania. Nel 2018 una frattura al metatarso gli aveva impedito di giocarsi al meglio le sue chance, e il Belgio si era preso la più grande soddisfazione della sua storia. Quest'anno, però, sembrava diverso.

 

L'infortunio alla caviglia subìto nella prima partita contro la Serbia, che avrebbe potuto tenerlo fuori per tutto il Mondiale, era stato assorbito in tempo record e anzi a quel punto aggiungeva un altro tocco letterario alla storia di espiazione e sofferenza dell'eroe verso la gloria. E poi questo Brasile era molto più forte e attrezzato di quelli del 2014 e del 2018. Agli ottavi contro la Corea del Sud Neymar era tornato a essere il direttore di una formidabile orchestra, mentre ai quarti, per superare la Croazia, serviva un assolo. Il dieci l'ha suonato con la classe dei migliori e il trasporto emotivo di chi ha accettato l'onore e l'onere di dover trascinare sul tetto del mondo il paese che più di tutti vive di calcio. La sceneggiatura sembrava perfetta, perché con quel gol Neymar ha raggiunto il più grande di sempre, Pelé, al primo posto come miglior goleador della storia della nazionale brasiliana, con 77 reti.

  

Il film di Neymar in Nazionale però non parla di una redenzione, ma di una maledizione: al 117esimo, nell'ennesimo plot twist, il destino avverso questa volta è arrivato travestito dall'improbabile Bruno Petkovic, attaccante che in Serie A tra Catania, Bologna e Verona ha messo insieme 42 presenze e zero gol. Ai rigori, poi, la beffa di assistere alla disfatta senza nemmeno poter calciare il suo penalty, lui che ovviamente avrebbe dovuto tirare il quinto, per diventare come sempre l'ultimo responsabile della vittoria o della sconfitta. "Questa volta è davvero durissima - ha detto a fine partita Neymar, rimasto a lungo seduto sul prato, senza la forza per rialzarsi, consolato prima da Thiago Silva e Dani Alves, poi perfino dal figlio di Perisic - Oggi è peggio che in passato. Voglio prendermi del tempo per pensare alla Seleção. Non chiudo la porta, ma non dico nemmeno che al 100 per cento tornerò".

 

Nella discussione su Neymar e sul suo posto nella storia spesso vengono messi in primo piano alcuni suoi atteggiamenti poco sportivi (soprattutto le simulazioni, o presunte tali, visti i falli che subisce ogni partita), le sue scelte di carriera discutibili (come l'addio al Barcellona, dove aveva vinto tutto da protagonista, ma pur sempre un passo dietro a Messi, per andare al Paris Saint-Germain), l'ingombrante figura del padre-procuratore, addirittura le sue danze dopo i gol (come se ci fosse qualcosa di male). Quello che spesso non vediamo sono però le schiaccianti pressioni a cui Neymar viene sottoposto da oltre dieci anni, almeno da quando, nel 2011, a 19 anni aveva condotto il Santos alla vittoria del campionato Paulista e della Copa Libertadores. Sin da quella sua apparizione come talento generazionale, ribadita con il clamoroso impatto avuto sul Barcellona, Neymar ha capito che la sua legacy sarebbe stata determinata dai successi, o dagli insuccessi, ottenuti con il Brasile. Tutto si sarebbe risolto lì. Al giocatore va dato atto almeno di non essersi mai sottratto a queste erculee fatiche, lui che pure di colpa originale non aveva lo sterminio della famiglia come il mitologico semidio, ma solo quella di essere nato in Brasile con un oltraggioso talento per il pallone.

  

Tra qualche anno ricorderemo Neymar per le lacrime con cui ogni volta ha salutato la Coppa del mondo, per la Copa America persa in finale nel 2021 contro l'Argentina e per quella vinta dai suoi compagni due anni prima senza di lui, fuori per infortunio. Oppure penseremo agli oltre 300 gol e 200 assist in carriera, molti dei quali straordinari, al rigore decisivo alle Olimpiadi di Rio del 2016, ai gol decisivi per la Champions del 2015, ai 28 titoli vinti, ai suoi giochi di prestigio e ai suoi balletti. L'idea che avremo di Neymar quando avrà finito la carriera ci dirà forse chi siamo noi, più di chi sia stato lui. Prima però ci sono i Mondiali del 2026: Neymar avrà 34 anni e, forse, un ultimo appuntamento con il destino.

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