La tauromachia migra oltreoceano

Le carte d'imbarco dei toreri per la stagione di fine 2022 son pronte, contratti firmati, social media puntati. Il business gira, fino al momento in cui ogni barriera cade e un uomo è fermo nella sabbia contro un toro

Caterina Di Terlizzi

Nel “Dìa de la Hispanidad”, la grande festa del Regno di Spagna, la Plaza de Toros di Las Ventas, a Madrid, ha in “cartel” l’ultima corrida della stagione, poi i matador e le loro squadrille si trasferiranno in Sud America dove partono gli appuntamenti del mondo nuovo. L’arena madrilena, suddivisa in tribune, accoglie 26 mila spettatori, attaccati uno all’altro, la Plaza dimentica davanti al sangue ogni prudenza del Covid. Signore eleganti, abitini di seta e gioielli luccicanti, i loro compagni abbottonati nelle tradizionali camicie a quadretti. Per trovare l’alta società spagnola dovete affacciarvi sulla Tribuna 9 Riservata. Dalla destra arrivano le urla e il chiasso della Tribuna 7, la curva degli ultras taurini, insofferenti, imprecando sempre contro matador, toro, allevatori. Niente va mai bene a questi aficionados, custodi gelosi di regole e tradizione. Lo spirito dei vecchi tifosi parati a festa infiamma l’atmosfera, chi tormenta il cappello, chi la coccarda all’asola della giacca, tutti severi a condannare il minimo passo falso.

 

Gli spettatori attendono i tre matador, pronti a combattere contro sei feroci tori, campioni dell’allevamento Victoriano del Rio, e in Tribuna 7 sentite recensioni raffinate: “Cuoio? Sottile. Proporzioni? Armoniose. Corna? Larghe, pericolose se agganciate. Collo? Lungo, ma non troncato. Colori di prammatica, nero, castano marron tostato e jaboneros (saponetta).

 

L’ultimo toro, prima della migrazione autunnale in Sud America, tocca a Andrès Roca Rey, valoroso matador di Lima, Perù. Indossa un traje de luz, abito tradizionale da torero, color cremisi. Come nella remota tauromachia ritratta nel 1500 avanti Cristo sui vasi, a Creta, tornano in scena vita e morte, Roca Rey è padrone del respiro, del battito dei cuori, della paura nell’arena. Andrès misura i passi come un ballerino, alto, fascinoso, un idolo davanti a un altro idolo, il toro. Come per un sortilegio, la mano di Roca Rey prende a sanguinare, si è ferito, non tutti han capito come, ma ha il palmo squarciato. Le madame della Tribuna 9 impallidiscono, una sembra quasi svenire ma Andrès non bada al dolore, combatte, vince. Lasciata l’arena, minimizza: “Il rischio? Esiste sempre, portarlo a questi limiti è solo parte della ricerca interiore che vivo, per raggiungere traguardi inesplorati alla mia coscienza” ci racconta, lasciando brillare occhi color nocciola. Lo stoicismo di Roca Rey chiude la “temporada” spagnola e apre la spettacolare transumanza taurina in America, gli Dei cambiano casa.

 

“Dal Perù importo in Europa la passione latinoamericana – racconta Andrès, poco prima di salire sull’aereo verso la patria, il Messico, l’Ecuador, la Colombia - Il mio modo di intendere la vita, comprendere la sua passione, non è altro che toreare fino alla resa assoluta sulla plaza de toros. Ho imparato da piccolo - i luoghi della mia terra - dove sono nato. Quando ritorno in Sud America, non mi lascio nulla alle spalle, in Europa. Tutto ciò che ho imparato, le esperienze, i sacrifici sono dentro di me. Da voi, in Occidente, non resta niente, per non dimenticare le pene subite". Il tono è da predicatore, che detta i dogmi della sua religione.

 

A traslocare la Spagna in Sud America, ha provveduto anche Carlos Olsina, fisico vigoroso, capelli corvini, pupille ebano, fiero erede di una stirpe di conquistatori. “Ho toreato in Messico nel novembre 2018, a Merida per la storica feria di Xmakuil, ero felice, ho goduto per l’affetto che c’è, ben diverso dalla tifoseria spagnola. Un pubblico più allegro, che va in arena a vivere la festa dei tori". Carlos sorride: “Lo ammetto, toreare è vitale, allucinogeno”.

    

Chi seduce tutti con questo fascino inebriante, è Diego Urdiales, profilo marcato da attore di Hollywood Anni Cinquanta, portamento regale, spalle grandi e dritte sotto il giubbetto brillante da combattimento, capaci di infondere sicurezza mentre fronteggia il toro con la spada. Anche lui vive sospeso tra due mondi, “Il pubblico sudamericano - spiega - è appassionato, quello europeo più freddo, controllato. La corrida, invece, è arte unica. Un uomo si gioca la vita per creare un’opera d’arte e commuovere anime e cuori. Con un pezzo di tela, la rossa muleta, posso dominare un toro, creando un momento unico, in cui la mia esistenza si fonde con quella del divino animale. È l’espressione pura di vita e di morte, noi toreri lo sappiamo e il pubblico lo sente bene”.

 

Ultimo campione per le tribune ricche e povere delle arene europee in Ottobre è lui, Javier Cortes, biondo come un vichingo senza paura, il corpo marcato da una mappa di sensuali cicatrici, matador di talento ma gourmet sofisticato, “Metto sempre in valigia del prosciutto pata negra ben sigillato, toreando nelle arene sudamericane non se ne trova di buono. In compenso, l’anno venturo torno in Europa con prelibatezze d’oltre Atlantico”.

  

Le carte d’imbarco dei toreri per la stagione di fine 2022 son pronte, contratti firmati, social media puntati. Il business gira, come si conviene al nostro tempo, fino al momento in cui ogni barriera cade, ogni certezza si sospende, e un uomo è fermo nella sabbia contro un toro, una vita, una morte.

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