Stefano Pioli e Simone Inzaghi (LaPresse)

Il Foglio sportivo

Milan e Inter chiedono al derby quanto valgono

Giuseppe Pastore

Pioli e Inzaghi alla ricerca delle loro squadre aspettando conferme, risvegli, sorprese e la Champions

Un derby così estivo mancava dall’agosto del 2009: era l’alba della seconda stagione di Mourinho, la più gloriosa della storia dell’Inter. Fu un bagno di sangue per il Milan di Leonardo, spensierato e fantasioso fino all’indisponenza. Un derby così trascurato, invece, non capitava da chissà quanto tempo: schiacciato dalla fine del calciomercato che ormai per molti addetti ai lavori non è più l’appendice del calcio giocato ma esattamente il contrario, scivolato a pagina 12 a causa delle alterne vicende societarie dei due club, pressato tra un irrilevante turno infrasettimanale e l’inizio della Champions, pigiato come i tifosi sulla metro lilla che stiperanno in massa un San Siro più templare che mai, al quinto tutto esaurito su cinque partite stagionali. Sta passando inosservato questo 233esimo derby di Milano tra i più stropicciati di sempre, eppure lui è lì che ci guarda dall’alto e ci giudica in silenzio: non è colpa sua, è colpa nostra.


Bisogna pur ricordarsi che i due derby dell’anno scorso hanno deciso l’intero campionato. In modo beffardo all’andata, con il secondo portiere rumeno del Milan che stregando Lautaro Martinez contribuì alla causa rossonera almeno quanto avrebbe fatto successivamente il secondo portiere rumeno dell’Inter. In modo folle ed emotivamente violentissimo al ritorno, quando l’uno-due di Giroud cancellò 60 minuti di dominio un po’ sterile dell’Inter e accese la graticola di Simone Inzaghi. Questo per ribadire che i pronostici non servono a niente, specialmente a inizio settembre, specialmente con umori volatili qual piuma al vento: domenica pomeriggio alla notizia dell’infortunio di Lukaku tutti gli interisti sembravano pervasi dalla gioia di vivere di Anna Karenina, ma già martedì sera il passo falso di Reggio Emilia aveva incupito i milanisti. Tutto quel che possiamo fare è tentare di leggere le carte.

 

Per esempio, checché ne dica Stefano Pioli, questo Milan agghindato col tricolore sul petto non sembra tornato dalle vacanze un po’ più presuntuoso di prima? Un vizio antico, radicato nel dna, non estirpato nemmeno da quei tanti pareggi a Reggio Calabria, Siena e Ascoli Piceno a causa dei quali il Milan di Ancelotti riuscì a portare a casa solo uno scudetto in otto stagioni a fronte di due Champions League. Pensateci bene: fino allo scorso maggio qualsiasi trasferta a Sassuolo procurava al milanista medio orticaria, insonnia ed eruzioni cutanee, mentre quattro giorni fa il Milan c’è arrivato con tutt’altro tipo di pensieri, distrazioni e propositi di turnover spinto – Pioli non ha svolto nemmeno la conferenza stampa prepartita, ritenendola come tutti noi una semplice tappa di trasferimento verso il derby. Invece 0-0, e gli è andata anche bene. Imbattuto da gennaio, il Milan è ancora sfuggito al classico schiaffone di bentornato che la Serie A ama impartire da sempre alle squadre fresche di scudetto e magari non del tutto corazzate per la gestione del tricolore. “Siamo i campioni d’Italia e ora vogliono batterci tutti”, ripetono i giocatori un po’ a pappagallo, anche perché per ora nessuno li ha ancora battuti. Non è mistero che, almeno fino a novembre, la società abbia messo il passaggio del girone di Champions in cima alle priorità, per motivi economici, di prestigio e di motivazioni dei singoli calciatori. Così, mentre la febbre da derby brucia più di prima nelle vene dei tifosi, sembra ben più freddino il Milan inteso come associazione calcistica. E se nemmeno nel derby riuscisse a trovare quella benedetta scintilla?


È quello che spera l’Inter, un ambiente che invece vive di scintille, anche se la partenza del pericolo pubblico numero 1 Perisic ha lasciato una corsia sinistra un po’ disadorna come certi supermercati di periferia. Se in tempi normali l’infortunio (non breve) di Lukaku sarebbe una iattura, Milan-Inter ha il potere di rovesciare le sensazioni. Per esempio, come certi comici a cui dopo un po’ sta stretta la vita artistica in coppia, Lautaro Martinez non chiede di meglio che essere considerato quel fuoriclasse che è (almeno per la Serie A) e non la semplice spalla di Romelu. Le quote dei bookmaker riflettono il precariato di questo periodo che non è più estate ma non è ancora autunno: assoluto equilibrio, perché rispetto al recente passato il Milan è molto più considerato. Se l’anno scorso si erano limitati a essere “la squadra migliore”, quest’anno i ragazzi di Pioli proclamano di voler diventare anche i più forti: hanno due candidati al Ballon d’Or (l’Inter nessuno), parabole quasi tutte ascendenti ed è per questo che il dio Pallone potrebbe divertirsi di gusto a sgonfiarli un po’.

 

Certo, si fa fatica a trattare l’Inter come una provinciale: però, vilipesa nell’immagine dalla sua proprietà fantasma, votata da una dirigenza un po' piccolo-borghese a operazioni di strette vedute come Acerbi mentre quegli altri comprano solo ventenni dal radioso avvenire, beffata dalle circostanze stile Bologna-Inter come Willy il Coyote con l’inafferrabile Beep Beep che per portamento somiglia a Rafa Leao, adesso sembra esprimere uno strapotere fisico e politico assai minore che in passato. Eppure, lo direste mai che ha un punto di vantaggio sul Milan? Eppure, non è forse vero che certe solide certezze da agenzia immobiliare vecchio stile, da Barella a Brozovic, da Skriniar allo stesso Lautaro, in un derby spesso si rivelino molto più affidabili dei molti “saranno famosi” che si stanno alternando nel Milan, specialmente in attacco?

Per ultimo, auguri a Daniele Chiffi di Padova, designato per la prima volta in un derby e per di più dopo le polemiche che la passata stagione travolsero almeno tre Milan-Inter su quattro. Con lui entrambe le squadre vantano precedenti lusinghieri: visti certi chiari di luna arbitrali e il momento ancora interlocutorio del campionato, se a un certo punto – diciamo dal 70esimo in avanti – dovesse decidere di traghettare la partita verso il pareggio, nessuno gliene farebbe una colpa.
 

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