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buona la prima

La parabola di Calabria illumina San Siro. La Serie A riparte dalla leggerezza del Milan

Giuseppe Pastore

Il capitano trascina i rossoneri che battono 4-2 l'Udinese. La squadra di Pioli gioca con entusiasmo, sa di piacere e di conseguenza si piace un sacco, assecondando la propria anima francese

Non più tardi di tre anni fa, il pubblico di San Siro salutava con solenni fischioni una buona parte degli undici titolari delle partite del Milan: su tutti Davide Calabria, e poi in ordine sparso Suso, Calhanoglu, Ricardo Rodriguez, a volte Kessié. Alcuni di questi sono ricordi più o meno lontani, mentre Calabria è nel frattempo diventato grande e ieri, nel primo quarto d'ora della sua vita da capitano dei campioni d'Italia, si è procurato un rigore e ha servito a Rebic l'assist del 2-1. La parabola di Calabria è illuminante e didattica per chi vuole saperne di più sull'attuale momento storico del Milan: spesso giocatore normale quando sveste il mantello della numero 2 rossonera – ce lo ricordiamo purtroppo arrancante e fuori posizione, per esempio, nella disfatta della Nazionale a giugno in Germania – possiede una quantità di sale in zucca assai superiore alla media dei colleghi, il che gli consente di galleggiare a meraviglia in quest'oceano di miele che simboleggia l'attuale status della relazione tra il Milan e i suoi tifosi.

 

Il bentornato ai campioni d'Italia non può che partire dall'uomo che detiene la titolarità di una fascia storicamente pesantissima, che dopo il quadriennio né carne né pesce di Romagnoli è tornata sul braccio di un prodotto del settore giovanile rossonero: come Baresi, Maldini, quella gente lì. Sono accostamenti che suonano come bestemmie, senza dubbio, così come può apparire blasfemo paragonare l'inizio della quarta stagione del Milan di Pioli a certe versioni effervescenti e un po' svampite del Milan di Ancelotti, specie in certi pomeriggi casalinghi quando la partita contava poco e l'avversario non eccitava gli entusiasmi dei Seedorf e dei Pirlo. Eppure il destino del Milan è confrontarsi con la propria ingombrante storia: se del passato non te ne frega niente, non ti metti in casa Maldini a comandare (il discorso tornerà d'attualità tra tre settimane, quando ripartirà la Champions League).

 

Così la leggerezza con cui il Milan ha sorvolato gran parte della scorsa stagione, prima di calarsi in una concentrazione da monaci buddisti sinceramente irripetibile per un anno intero, adesso si è unita in matrimonio con l'entusiasmo di un popolo che nella Milano calda e deserta a ridosso di Ferragosto ha puntato i suoi 150mila occhi sui ragazzi del 19° scudetto: pure bollicine. Che poi le bollicine fanno girare la testa, e proprio la testa pare il principale nemico dei Pioli-boys in quest'estate di felicità: sia in senso metaforico che letterale, visti gli imbarazzi sulle palle alte. Ancora una volta il Milan è partito ad handicap e ha subito gol nei primi cinque minuti – era già successo in amichevole contro Vicenza e Zalaegerzeg e in primavera contro Lazio e Inter (coppa Italia) – e la cattiva abitudine è stata ovviamente notata e sottolineata da Pioli, in disperata ricerca di qualcosa che faccia abbassare le ali a un ambiente pesantemente su di giri.

 

Eppure l'Udinese, che tanto aveva fatto penare il Milan e nel 2021-22 avrebbe meritato di portare a casa sei punti su sei, è stata presa a ceffoni; e poco ha da recriminare Pierpaolo Marino su un rigore discutibile ma non certo inventato, dal momento che per contare i gol subiti sarebbero potute servire anche due mani. Questo è un fatto nuovo: l'imprevista abbondanza in attacco di Pioli, che ieri – dopo che i titolari avevano già segnato quattro gol – voltandosi in panchina poteva scorgervi De Ketelaere, Giroud, Origi e Adli, per tacere del totem Ibrahimovic. Un altro fatto nuovo: i quattro gol sono arrivati quasi senza l'apporto di Leao e Theo, la cosiddetta “fascia sinistra più forte del mondo”. Sicuramente il calendario congestionato non coglierà di sorpresa il Milan, ma serviranno equilibrio e capacità di gestione superiori ai pur eccellenti standard di Pioli, chiamato a sfoderare sensibilità da rabdomante per cogliere i momenti e schivare i facili entusiasmi – per esempio, ieri Rafael Leao ha giocato come uno che il giorno prima aveva ricevuto la prima nomination al Pallone d'Oro della sua vita e ne era ancora comprensibilmente inebriato.

 

Le bollicine di cui sopra hanno esasperato la frenetica verticalità del gioco del Milan, con il malevolo effetto di esporre al sole di San Siro la ruggine di una fase difensiva assai rivedibile (com'è normale che sia dopo le vacanze), che si è retta soprattutto su prodezze individuali come l'attentissima partita di copertura di un Theo Hernandez mai così maturo o il recupero-monstre di Kalulu che a molti, non solo per la calura agostana, ha ricordato certe uscite di Nesta (un'altra bestemmia?). L'impressione è che a tutto il Milan ancora orfano di Kessié farebbe un gran bene un centrocampista muscolare e forte di testa. Col tempo potrebbe diventarlo Pobega: non c'è bisogno di una primadonna da 20 milioni di cartellino, ma piuttosto di un caratterista alla Kucka dei bei tempi. E poi un'altra impressione, più generale, fondata soprattutto sulle vibrazioni che si captavano ieri nell'atmosfera di uno stadio che poteva essere sfruttato come una fonte di energia rinnovabile: mosso da un entusiasmo senza freni per il modo spettacolare in cui è tornato a splendere, il Milan sa di piacere e di conseguenza si piace un sacco, assecondando la propria anima francese.

 

I venti minuti finali di De Ketelaere, tutti strappi, profondità, promesse e rimandi a pié di pagina che saranno stati sicuramente colti dai discepoli di Kakà, hanno ulteriormente solleticato l'atmosfera da “innocenti evasioni” battistiane, con il giradischi e lo champagne ghiacciato in frigo. Però in serie A, di solito, la sensazione di leggera follia la paghi amaramente: l'inaccettabile gol del 2-2 di Masina, arrivato all'ultimo secondo del primo tempo su imperdonabile dormita di Messias, dovrà servire da campanaccio d'allarme. Domenica prossima a Bergamo, contro un'Atalanta che in molti definiscono “normalizzata” ma è pur sempre una squadra che con Gasperini non si è mai fatta mettere i piedi in testa da nessuno, il test sarà di quelli succulenti.

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