Foto Paolo Martelli per L'Eroica

Ritornare bambini alla Nova Eroica

Giovanni Battistuzzi

Il tempo lo si prende per se stessi, e non è quello cronometrico. È il tempo di una pedalata dopo l’altra, di una chiacchiera dopo l’altra, alla maniera dei ragazzini

M. ha dieci anni ma ha le idee chiare: “Mica è fatica quella che si fa in bicicletta, è un divertimento”. E. ha qualche anno in meno e dice di essere d’accordo con suo fratello che “a pedalare mi diverto un sacco, cosa vuoi che sia sudare un po’”. E se chiedi loro perché pedalare gli piace così tanto ti rispondono in coro con una domanda: “Tu pedali no? Lo sai anche te”. Poi se ne vanno. C’hanno le loro cose bambine da fare e stare a rispondere alle domande di un grande c’hanno mica tempo e voglia. A dieci o sei anni un grande è un rompiscatole, uno buon al massimo per dire questo no, è ora di tornare a casa, basta giocare devi studiare e altre cose del genere.

   

Foto Giovanni Battistuzzi  
         

I grandi sono quelli che scattano in salita e non aspettano. Pure i bambini lo fanno, ma aspettano sempre, che è meglio andar via in compagnia, così ce la si racconta, ci si diverte di più. Domenica, in cima alla prima salitella dell’Eroica family si sono aspettati, ritrovati, hanno ripreso a pedalare vicini. Prima hanno dato una sbirciata al rifornimento, quello pieno di pane e marmellata, pane e cioccolata, succhi e crostate. Si sarebbero pure fermati, ma non potevano, c’erano altri dieci chilometri da fare intorno alla collina, avrebbero mangiato dopo.

   

Foto Giovanni Battistuzzi  
        

Il giorno prima, sabato, erano parecchi i non bambini che pedalavano alla maniera dei bambini per le strade che da Buonconvento partivano per a Buonconvento ritornare. Le cime e soprattutto i fondovalle univano quello che la salita divideva. Che poi mica sempre andava così ci si attendeva pure in salita durante la Nova Eroica: il passo lo dava il meno veloce, gli altri di fianco. Allo stesso modo dell’Eroica, ma con meno gente a piedi che i cambi montati sulle bici moderne sono meno esigenti di quelli che montavano le bici d’antan e si riesce a salire anche in sella.

 

Ci si alza quasi mai dalla sella sulle biciclette gravel. Se lo fai hai gli occhi degli esperti puntati sulla tua plastica eresia. Li freghi mica quelli che vanno sempre sulle gravel, lo capiscono subito che non sei uno che gira sulle gravel regolarmente, che sei all’antica. Dicono niente però, ti guardano passare e via, c’è nulla di male in fin dei conti. Che tanto sempre biciclette sono, si muovono alla maniera di sempre, solo con gomme più larghe, un telaio un filo più corto e un manubrio più comodo. C’è nulla da temere, anche perché quelli con la puzza sotto il naso, i primi della classe un po’ tronfi di essere i primi della classe ci sono ovunque e da sempre, in questo caso pochi, se ne sono andati da parecchio alla ricerca del tempo buono nei settori cronometrati. “Ah, prendono il tempo?”, i più fanno questa domanda. Si pedala per pedalare, il resto è un orpello accessorio.

 

Il tempo lo si prende per se stessi, e non è quello cronometrico. È il tempo di una pedalata dopo l’altra, di una chiacchiera dopo l’altra, alla maniera dei bambini. Una scoperta. Come scoprire che anche se si fa la parte di quelli che non hanno pregiudizi, alla fine di pregiudizi ce ne abbiamo. Ma quando si pedala è più facile superarli, bastano poche pedalate per capirlo. Per capire che le biciclette gravel non sono una moda come si era portati a pensare, ma che in fin dei conti sono solo un mezzo che allarga l’orizzonte del pedalare e lo riporta all’origine del pedalare stesso, cioè del pedalare ovunque, in ogni luogo e su ogni superficie come fosse una sola superficie.

 

“Mi sono fatto un viaggio questa primavera. Un viaggio in Slovenia. I posti sono meravigliosi, ci sono bike point dove trovi tutto, se hai un problema lo risolvi. Ho viaggiato per boschi e per strade e tutti c’hanno una pompa o qualche chiave o camere d’aria per i problemi più semplici”, dice S., ciclista da passo lento, ma lungo, 130 chilometri portati a termine. A Buonconvento gli attrezzi li trovi in piazza, in una piazzola officina davanti a un hotel, ma dentro i confini della “proprietà privata”, che sennò “ci si perde nella burocrazia e non si finisce più”. E questo nonostante la volontà del sindaco di lasciare spazio alle biciclette, accoglierne il più possibile. “Sono il futuro, il futuro del turismo per tutti quei paesini che sono graziosi, ma che c’avrebbero mica possibilità di competere con altri più graziosi”, dice un ristoratore della zona. In Toscana, o meglio ta il Chianti e le Crete senesi, il cicloturismo è diventato una realtà, non serve poi molto per raggiungere gli standard dell'Europa più avanzata, quella che non discrimina chi pedala, anzi invoglia a pedalare.

 

Buonconvento è una gran brulicare di gente. Gente che pedala e gente che la bici è roba del compagno o della compagna. Gente che se ne sta qualche giorno e poi ci ritorna, magari in giornata o per una pedalata. “E chi ritorna perché qui si è innamorata. Ogni anno da quattro anni. Pure con la pandemia, ma hanno avuto fortuna che i ristoranti erano già aperti”, precisa il ristoratore di prima.

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