Gianni Clerici (Ansa)

1930-2022

Il racconto infinito di Gianni Clerici

"Sono un giornalista che narra quello che altrimenti non avreste modo di sapere"

Maurizio Crippa

Lo storico giornalista è morto oggi a 91 anni. Dandy della vita e della parola, ha raccontato un tennis che oggi non c’è più, che era ancora un divertissement sociale, un nobile intrattenimento televisivo. E di cui sapeva tutto

Con gli anni si era fatto a poco a poco più somigliante al suo soprannome, allo Scriba a gambe incrociate e il volto scavato, gli occhi vividissimi, la pelle del corpo rossa come se fosse fatto della materia del Foro Italico o del Roland Garros. Lo Scriba del Louvre. Lui invece era lo Scriba del Tennis (con la maiuscola, per una volta) il soprannome o meglio il titolo nobiliare che si era guadagnato, anno dopo anno, telecronaca dopo telecronaca e articolo dopo articolo raccontando il magnifico sport che al suo tempo era ancora “bianco”, bianco di magliette polo e calzoncini con le tasche, bianco di completini e gonnellini femminili, cui aveva consacrato la sua vita come a un dio Ra, perché il sole è l’elemento del tennis.

 

Gianni Clerici da Como, classe 1930, fu rampollo borghese e buon tennista in gioventù, quando lo sport era ancora un disinteressato passatempo per rampolli borghesi; e poi per sempre fu un dandy della vita e della parola, del cui stile scrittorio la massima filologa lombarda, Maria Corti, riconosceva il talento massimo, sottile e brillante come le sete di Como, il “lombardese”. Con Gianni Brera, che lo introdusse alla Gazzetta, e con Beppe Viola: un altro trio di gran lombardi, come i nipotini di Gadda, dediti però all’arte applicata del racconto sportivo. Non la cronaca, non la tecnicalità comprensibile solo agli adepti; ma il racconto, il ricamo, il sorriso che affascinano non i praticanti di una setta, ma le anime belle di ogni luogo.

 

Gianni Clerici ha raccontato un tennis che non c’è più, oggi è dimensione psico-muscolare, da decenni. uno sport che era ancora un divertissement sociale, e un nobile intrattenimento televisivo. Sapeva tutto, lui che era stato tennista di livello nazionale con puntate sui grandi campi, seppure di esiti modesti. Ma conosceva la materia, la leggeva con una precisione di occhi acuti. Sapeva tutto del nobile duello e sapeva tramutarlo in leggenda, 500 anni di tennis è il suo libro più noto. Spiegava ciò che accadeva sui rettangoli rossi o verdi, prima che venissero i sintetici variopinti, lo spiegava con frasi fulminanti come ace, o con ghirigori di lingua preziosi. Lasciando il resto, nelle telecronache irripetibili che sono nella leggenda, la contabilità ai “personalissimi tabellini” di Rino Tommasi. 

     
Iniziò con la carta stampata, dalla Gazzetta al lungo sodalizio con il Giorno, il giornale che fu anche di Brera. Poi, come lui, anche Clerici trasmigrò alla Repubblica. Ma la celebrità coram populo viene dalla tv, da una delle migliori invenzioni che le prime tv “a pagamento” abbiano prodotto, e non hanno mai più replicato: il doppio delle meraviglie, lui e Rino Tommasi, sommo scriba di boxe. Le loro telecronache dai tornei di tutto il mondo erano spettacolo dentro e sopra lo spettacolo, e spesso superiore allo spettacolo delle racchette. Due così bravi, così di mondo, così superiori e incuranti delle scemenze del mezzo televisivo, che si permettevano di parlare di tutto, o di cantare “Bingo Bongo stare bene solo in Congo” all’inizio di un collegamento dagli Open d’Australia, e di commentare la bellezza delle tenniste (un vero trasporto, per Gabriela Sabatini) con ammicchi e sospiri che oggi costerebbero, almeno, un lagnoso editoriale. (Il suo ultimo libro, del resto, si intitola 2084. La dittatura delle donne).

 

Levigato scrittore, anche nelle sue molte prove narrative, sempre limpido come certi gesti bianchi sotto il solo del Foro Italico, disse di sé, una volta: “Non sono un reporter, i setter riportano. Sono un giornalista che narra quello che altrimenti non avreste modo di sapere”. Una bravura tale che nel 2006 si meritò la Hall of Fame del tennis, dove si fa compagnia con Nicola Pietrangeli. A Newport, quel giorno, c’era anche la sua adorata Gabriela. Il tennis è il più crudele dei giochi, lo sport della solitudine per eccellenza. Nessuno come Gianni Clerici ha contribuito a farlo conoscere al grande pubblico, a decifrarne il linguaggio segreto. I gesti bianchi, quelli per cui valeva la pena vivere e raccontare.

  
Era stato colpito da un ictus qualche mese fa, è morto lunedì 6 giugno a Bellagio, sul lago di Como.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"