Gilles Villeneuve (Olycom) 

 Il Foglio sportivo

Quarant'anni senza Gilles Villeneuve

Umberto Zapelloni

È stato un uomo e un pilota speciale, correva in un modo che oggi i commissari riterrebbero illegale. Uno degli ultimi romantici di una Formula 1 che poi ha cercato di standardizzare i suoi protagonisti

Gilles è volato in cielo quarant’anni fa, ma in realtà è ancora qui con noi. “Guarda, corre alla Villeneuve”, è una frase che non è passata di moda e probabilmente mai ci lascerà. Villeneuve è un modo di intendere la vita e le corse. Un modo che non ha bisogno di troppe spiegazioni perché chiunque ricorda quello che Gilles e Renè Arnoux combinarono a Digione la domenica pomeriggio del primo luglio 1979. In pochi ricordano chi vinse quel Gran premio di Francia, ma nessuno ha dimenticato quel duello ruota a ruota che ancora oggi, in pieno delirio netflixiano, è un marchio di fabbrica per uno sport che senza rischi sarebbe un po’ come il pesto senza aglio. Può piacere, ma non lascia il segno. 

 

Quarant’anni sono la cifra tonda e giusta per riavvolgere il nastro dei ricordi, pensare una volta di più a quel piccolo canadese che ha colpito al cuore milioni di appassionati e provare a giocare con la sua eredità. Non possiamo fermarci a suo figlio Jacques, l’uomo che ha scritto il nome Villeneuve nell’albo d’oro del Mondiale di Formula 1, rendendo giustizia all’onore e alla memoria di un papà così scomodo e ingombrante. Anche perché Jacques è meno Villeneuve di tanti altri.

 

Per Mauro Forghieri che lo ha visto trasformarsi in un pilota vero “Gilles era un puro”. Un pilota che difficilmente sarebbe riuscito a diventare campione del mondo. Per René Arnoux, coprotagonista del celebre duello di Digione, “Gilles non era un pilota, era un acrobata. Forse eravamo tutti sul filo a quei tempi in cui in molti sono morti, ma il filo di Gilles era un po’ più sottile”. Enzo Ferrari gli voleva bene come non ha voluto bene a nessun altro. “Lui soddisfa il pubblico, è come l’attore che va alla ricerca dell’applauso: in fondo si recita per questo”. Gilles è stato un uomo e un pilota speciale. Uno degli ultimi romantici di una Formula 1 che poi ha cercato di standardizzare i suoi protagonisti. Non piaceva a tutti. Non poteva piacere a Niki Lauda che interpretava la vita e le corse in modo completamente opposto. O a Jackie Stewart che aveva fatto della sicurezza la sua crociata assoluta. Ma Gilles entrava nel cuore della gente proprio perché era diverso.

 

“Era fuori di testa e diverso da loro” come potrebbero cantare oggi i Måneskin. Anche se in realtà il suo essere fuori di testa era quasi un bisogno. L’adrenalina era il suo ossigeno. Doveva sentirla quando correva in pista come quando viaggiava in autostrada o volava con il suo elicottero o saltava tra le onde con il suo offshore. “Vai più forte papà”, gli gridava nelle orecchie il piccolo Jacques che ha imparato ad andare forte, fortissimo, ma ha vinto il Mondiale di Formula 1 e la 500 miglia di Indianapolis senza mai rischiare oltre i limiti. Gilles non si era costruito un personaggio attorno. Era così. Genuinamente folle nella sua ricerca del limite da superare, del rischio da prendere. Non era un personaggio costruito, era così e basta. Se ne infischiava di quello che la gente pensava e diceva di lui. Ma sapeva riconoscere gli amici e chi gli voleva bene. Non ha mai avuto dubbi quando la Ferrari gli chiese di aiutare Scheckter a vincere il campionato nel 1979. E non avrebbe voluto che a qualcuno in Ferrari fossero venuti dei dubbi tra lui e Pironi in quel maledetto Gran premio di Imola di quarant’anni fa. 

 

Da quello sgarbo, mai più risanato neppure da Enzo Ferrari, non si riprese più. Era stato ferito nell’anima da chi considerava un padre (il commendatore) e un amico (Pironi). L’incidente di Zolder, l’impatto contro Mass e quel volo impazzito, hanno spezzato la sua vita e il finale di una storia che forse solo il titolo mondiale avrebbe potuto trasformare in lieto. Quarant’anni dopo Gilles è ancora di più di un ricordo. La forza delle sue gesta è andata oltre il passare del tempo. Ha vinto soltanto sei Gran premi in vita sua, ma ci sono campioni del mondo che non hanno lasciato il segno come lui. Nella hit parade dei tifosi ferraristi non esce mai dai primi posti. Dopo Schumacher e Lauda arriva sempre lui. Per qualcuno è addirittura davanti. “Lui era riuscito a trasmettere tutto sé stesso, la passione, la voglia, il non abbattersi mai, il cuore messo in tutto quello che faceva – racconta suo figlio Jacques che una volta diventato campione è riuscito a parlare del padre – La gente che lo ha visto correre è rimasta colpita dal suo modo di essere, ed è per questo che continua a ricordarlo. E poi era un pilota Ferrari, una squadra che amava e per la quale ha dato tutto. La gente queste cose non le dimentica. Aveva caratteristiche uniche, non parlava molto ma ‘diceva’ tanto col suo modo di affrontare la sfida. Viveva tutto intensamente, come fosse sempre in competizione”.

 

Gilles correva in un modo che oggi i commissari riterrebbero illegale. Gli sventolerebbero bandiere nera a raffica perché resta in pista con un’ala che gli copre la visuale o con la sua Ferrari che ha ormai solo tre ruote. Immagini che lo hanno reso leggenda e oggi verrebbero cancellate dai regolamenti. Ma quello che non riuscirebbero a ingabbiare neppure i regolamenti moderni è il suo spirito. Ci vorrebbe un Ferrari a credere in lui e oggi in giro non ce e sono, questo è vero. E allora dobbiamo affidarci a chi si avvicina al suo modo di correre più di chiunque altro. A chi è suo figlio più di quanto non lo sia stato Jacques. Così viene da pensare ai due protagonisti della Formula 1 di oggi. A Verstappen e a Leclerc. Max soprattutto all’inizio, prima di diventare campione, ha corso un po’ alla Gilles. Charles anche per quella tuta rossa che indossa, è l’anello di congiunzione con il passato. Poche settimane fa a Fiorano gli hanno fatto provare una vecchia monoposto di Gilles, una di quelle della collezione Giacobazzi (sponsor e amico di Gilles). Aveva il numero 12, non il mitico 27, ma l’emozione gli è entrata dentro tutta, fino al cuore. 

 

“Gilles era una leggenda per la Ferrari e per la Formula 1 – ha detto dopo aver provato a Fiorano la sua T 4 – Per la personalità che aveva fuori dall'auto, e per aver cambiato il modo in cui le persone lo percepivano ogni volta che era in macchina, con tanta passione, aggressività e ovviamente la lotta con Arnoux… è stata una grande emozione guidare la sua macchina. E le macchine di allora erano pazze. Voglio dire, continuiamo a parlare di sicurezza. Ma penso che per noi piloti fino a quando non guidi davvero una di quelle auto... puoi sentire cosa stavano passando durante la guida. Voglio dire, è incredibile. E sì, era un'auto molto divertente, molto sovrasterzante, ma davvero molto divertente da guidare…”. Essere paragonato a Gilles lo rende orgoglioso. Ma in una cosa non vorrebbe essere come lui. Perché il mondiale Charles lo vuole vincere davvero.
 

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