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il foglio sportivo - storie di storie

Calcio e resistenza

Mauro Berruto

Lasciarsi tutto alle spalle per imbracciare il fucile e combattere contro tedeschi e fascisti. Storie di sportivi partigiani

Che cosa hanno in comune Giacomino Losi, detto “core de Roma”, secondo solo a Totti e a De Rossi per presenze con la maglia giallorossa, e Raf Vallone, noto per la sua carriera cinematografica e anche capace, da calciatore, di alzare la Coppa Italia vinta dal Torino nel 1936? Cosa rende simili l’attaccante Carlo Castellani, bandiera dell’Empoli, e il mediano Bruno Neri di Faenza, nel giro della nazionale dopo aver militato nella Fiorentina e nel Torino? Tutti questi atleti presero (e bene) a calci un pallone, ma oltre a questo, tutti loro, mentre sull’Italia fischiava il vento e infuriava la bufera dell’occupazione nazifascista, compirono la stessa scelta fatta allora da migliaia di ragazzi nel paese: lasciarsi tutto alle spalle per imbracciare il fucile e combattere contro tedeschi e fascisti.

 

Inizia in questo modo la storia di questi campioni della Resistenza: calciatori-partigiani come Armando Frigo, capace di segnare una doppietta con un braccio mezzo ingessato in un memorabile Vicenza-Verona 2-0 e poi fucilato dai tedeschi dopo aver eroicamente difeso il passaggio montano di Crkvice, in Jugoslavia; o come la bandiera lariana Michele Moretti, membro del gruppo partigiano che il 28 aprile del 1945 giustiziò Benito Mussolini in nome del popolo italiano. Leggere Edoardo Molinelli, Cuori partigiani. La storia dei calciatori professionisti nella Resistenza italiana (Red Star Press, 2019) significa comprendere meglio la Resistenza come fenomeno di massa. 

 

Settantasei anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, anche Davide Grassi e Mauro Raimondi, da sempre attenti agli intrecci tra storia e sport, hanno unito le loro passioni per creare un libro di impegno civile. Vicende di atleti che sono passate dal campo di calcio alla lotta per la Liberazione, altre storie vissute in bilico tra pallone e Resistenza come, oltre a quelle sopra citate, quelle di Giacomo Losi, Michele Moretti, Antonio Bacchetti, Dino Ballacci, Cestmir Vycpalek, "Cartavelina" Sindelar, Erno Erbstein, Arpad Weisz, Géza Kertész, Gino Callegari, Vittorio Staccione, Edoardo Mandich, Guido Tieghi, e Alceo Lipizer. Ci sono aneddoti come incredibili partite giocate tra partigiani e nazisti, come quella che si disputò a Sarnano nel maceratese nel 1944, o quelle fra reclusi nei lager e i loro aguzzini, vere e proprie partite della morte, a cui si ispirò il film di John Houston, "Fuga per la vittoria", passando per un episodio che pochi conoscono: il rastrellamento avvenuto dopo la partita fra Milan e Juventus del 2 luglio 1944, correlata da un’accurata ricerca d'archivio. E ci sono protagonisti di altri sport come il pallanuotista e rugbista Ivo Bitetti, fra coloro che catturarono Benito Mussolini in fuga, il ciclista tedesco Albert Richter, che aiutò tanti ebrei a scappare e venne impiccato, pugili costretti a combattere per la vita sul ring di Auschwitz per il divertimento dei loro kapò o che si ribellarono lottando alla guerra nazifascista, come Leone Jacovacci, Lazzaro Anticoli, Pacifico di Consiglio e Settimio Terracina. E ancora Alfredo Martini, partigiano che diventò Commissario tecnico della Nazionale italiana di ciclismo. “Ho portato in bicicletta carichi di bombe molotov alle formazioni partigiane presenti sul Monte Morello”, dichiarò Martini a guerra finita, “e solo ora penso che se fossi caduto sarei saltato in aria”. Non cadde, non saltò in aria e, anzi, ci consegnò un paese libero e un mondo migliore. Queste storie di sport sono lì per un motivo: non dimenticare. E, oggi più che mai, imparare.

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