Il Foglio sportivo

Lunga vita allo spezzatino in Serie A

giuseppe pastore

Non c’è campionato dove si pratichi la contemporaneità. Ma è un vantaggio o no giocare prima?

All’improvviso, nel mezzo di una sonnacchiosa settimana pre-pasquale, viene fuori l’insopprimibile urgenza: occorre che d’ora in avanti le tre principali candidate allo scudetto – Milan, Inter e Napoli in ordine di classifica – giochino allo stesso giorno e alla stessa ora. Torneremo tra poco sui motivi alla base di questa richiesta. Prima è importante ricordare che la questione era saltata fuori già nel 2018, nelle ore della volata finale tra Napoli e Juventus, poco prima dell’episodio dello scudetto “perso in albergo” a Firenze dal Napoli che la domenica pomeriggio aveva pagato il prezzo dell’afflizione per la celebre Inter-Juve 2-3 consumatasi la sera prima a San Siro. La Lega aveva preso tempo e poi aveva concesso il contentino della contemporaneità solo nelle ultime due giornate, quando ormai il discorso scudetto era già abbondantemente chiuso. Allo stesso modo, la Lega prenderà tempo anche stavolta. C’è un comunicato ufficiale dello scorso 14 luglio che stabilisce l’obbligo della contemporaneità solo all'ultima giornata, e già qui ci sarebbe materiale a sufficienza per riflettere sul vizio italico di voler cambiare le regole in corsa nonostante fior di contratti e regolamenti, che tanto “non si fa torto a nessuno”. Il torto invece potrebbe esserci dal punto di vista economico: è tutto da vedere, per esempio, se Dazn farebbe più ascolti con una mega-Zona Gol oppure valorizzando il più possibile il singolo evento (lo stesso discorso vale anche per gli sponsor della Serie A). Per tacere del timore di possibili disservizi tecnici, visto che a inizio stagione l’app è andata in panne a causa della concentrazione di accessi nei momenti più trafficati. Quindi è assai improbabile che la Lega possa fare strappi alla regola: oltretutto, al momento risulta complicato anche solo stilare il calendario delle ultime cinque giornate, legato alle finaliste di coppa Italia e al cammino europeo della Roma.


Qual è il motivo di una simile proposta? Il senso dello spettacolo? Ma lo spettacolo è un discorso estremamente soggettivo: chi scrive, per esempio, rivendica il diritto di godersi per intero nel prossimo turno sia Lazio-Milan che Inter-Roma. Del resto in Premier League, il torneo più spettacolare al mondo, non esiste più nemmeno il concetto di giornata di campionato. La classifica è sfalsatissima (il Leicester è indietro di tre partite!) e nessuno se ne lamenta; questo week-end la Premier proseguirà mentre le prime tre saranno impegnate a Wembley nelle semifinali di FA Cup, e i match saltati saranno recuperati più avanti. Le due arci-rivali Liverpool e Manchester City procederanno a orari differenti almeno fino alla terzultima giornata. Lo stesso vale da anni anche per Liga e Bundesliga.


Giocare tutte insieme per un senso di giustizia, per scendere in campo ad armi pari? A parte che non s'è mai capito chi sia più o meno favorito nel giocare prima o dopo (di solito ci si lamenta di essere sfavoriti quando si è appena perso), Inter, Milan e Napoli quest'anno hanno perso punti sia giocando prima che dopo le altre. Ma anche se fosse, perché non estendere questo senso di giustizia alla lotta per la Champions, per l’Europa League e soprattutto per la salvezza, dove la nostra storia del calcio insegna che c’è molto più rischio di partite aggiustate per convenienza sulla base dei risultati precedenti? E a quel punto chi andrebbe a spiegare ai broadcast italiani e stranieri, che hanno investito sulla Serie A anche sulla base di quello “spezzatino” inventato per aumentare i ricavi televisivi, che da adesso – proprio sul più bello – otto-nove partite verrebbero giocate allo stesso giorno e alla stessa ora?


Non vogliamo imbarcarci in una noiosissima disputa generazionale, ma di fronte a una suggestione del genere, i cui argomenti rimangono nebulosi e non toccano mai i tanti risvolti pratici che abbiamo elencato sopra, viene il sospetto che sia una delle tante trappole della nostalgia. La stessa nostalgia che ci prende alla gola all’idea di due Mondiali di fila senza l’Italia, e ci fa sospirare su quant’era bello quando c’erano al massimo tre stranieri per squadra, e si potevano mangiare anche le fragole. La richiesta del “tutte insieme” è il frutto della nostalgia verso un calcio da radiolina, idilliaco, romantico, emozionante finché si vuole, ma del tutto sorpassato. 
Passateci il bisticcio: un campionato contemporaneo non è più contemporaneo. Forse è una coincidenza, o forse no, che si parli di queste cose nella settimana in cui la Procura federale – e dunque la cosiddetta accusa – ha impartito teneri buffetti alle società di A e B indagate per aver taroccato i bilanci e persino quei buffetti, che non vanno a toccare le classifiche e lambiscono appena i portafogli, vengono intesi come richieste pesantissime.  

Si preferisce ragionare su falsi problemi di un calcio minore, la cui scarsa qualità è fotografata non tanto dalla volata-scudetto quanto da quella per la salvezza, dove c'è una squadra – l’Empoli – che nel girone di ritorno non ha vinto neanche una partita ma conserva comunque dodici punti di vantaggio sul terzultimo posto, perché le ultime vanno talmente piano da pensare che da un momento all’altro possano passare alla retromarcia. Questo sì, uno spot magnifico per una Serie A a diciotto squadre, o perché no direttamente a sedici. A proposito di questioni che rimarranno lettera morta.

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