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tanto a poco

Non avessero dato risalto a una partita tra ragazzini, un 40-0 sarebbe solo un ricordo

Giovanni Battistuzzi

A calcio si gioca per giocare e non per vincere, come si è sentito dire dopo la notizia della goleada tra i Giovanissimi in Sardegna? Fosse vero decadrebbe lo stesso concetto di sport e questo si trasformerebbe in un passatempo come un altro

Vincere tanto a poco è qualcosa che non succede spesso nel calcio. E quando succede impone, almeno in Italia, il dover dare spiegazioni. Perché c’è sempre da rispondere a una domanda: era proprio necessario? Rispondere sì, lo era, non è quasi mai risposta accettabile. Soprattutto quando di mezzo non ci sono i professionisti, ma i ragazzini. Perché il calcio, e più in generale lo sport, dovrebbe essere divertimento, dicono i più. A questo teorema, si aggiunge una serie di corollari che tira in ballo il dovere di non infierire, il dovere di dare il buon esempio e così via sino a quello finale, onnicomprensivo dei precedenti: si gioca per giocare e non per vincere. Fosse vero decadrebbe lo stesso concetto di sport e lo sport si trasformerebbe in un passatempo come un altro.

 

A Orosei una partita di calcio tra ragazzini, categoria Giovanissimi, è finita tanto a poco, anzi tantissimo a niente: 40-0. In campo si affrontavano la Fanum Orosei e La Caletta. La prima si giocava il primato in campionato. Era a pari punti con i Lupi di Goceano Bono, ma con trentacinque gol fatti in meno, ventidue dei quali segnati proprio ai ragazzi della Caletta la settimana precedente. Per arrivare primi serviva segnare. I ragazzi hanno segnato. Non avessero dato risalto all’avvenimento sarebbe stata una delle tante notiziole che non superano i confini comunali. Un ricordo che si tramanda come leggenda da chi lo ha vissuto. Ti ricordi quella volta… quel 40-0?

 

Ezio Vendrame, ex ala di Vicenza e Napoli nella prima metà degli anni Settanta, ricordò più volte di una partita finita 27-1. Suo l’unico gol degli sconfitti. Un risultato trasformatosi l’anno successivo in un 38-0, con dieci  gol suoi. “Il calcio dà, il calcio toglie”, diceva ridendo. A La Caletta il calcio ha tolto. Per ora. Difficilmente poteva essere altrimenti per una società piccola che può attingere a un bacino di nemmeno duemila anime. Sessanta gol in sette giorni sono un’umiliazione? Può darsi. Figlia però di un regolamento, non della crudeltà di due squadre che si stavano giocando il campionato.

 

Gianni Cadoni, il presidente del Comitato regionale Sardegna della Figc, ha detto alla Nuova Sardegna che “quanto accaduto è gravissimo perché va contro la normalità del calcio”, perché “lo sport a questo livello deve andare oltre il risultato, va vissuto in modo ludico”. Eppure era stata proprio il Cr Sardegna a rifiutare di organizzare una gara di spareggio tra Fanum Orosei e i Lupi di Goceano Bono, che entrambe le squadre avevano chiesto, evitando così goleade.

 

Qual è la normalità del calcio? In modo ludico non si gioca nemmeno nei campi degli oratori o nei parchi. Anche tra amici si vuole vincere. Meglio se tanto a poco. E quando si sta vincendo tanto a poco non ci si ferma, si continua. Perché sarebbe ben peggio iniziare a fare torello, a passarsi la palla senza segnare. Quella sarebbe un’umiliazione, il rendere evidente agli avversari tutta la loro pochezza. Certo sarebbe meglio vincere tanto a poco ad armi pari, non contro una squadra formata da ragazzi anche di qualche anno più giovani (e a quell’età anche due anni in più fanno la differenza) e per di più in undici contro dieci. Le regole sono queste però, chi doveva decidere ha deciso che tutto andava bene, che non si potevano cambiare le regole in corsa, salvo poi lamentarsi per ciò che l’applicazione di queste regole ha determinato.

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