Foto Udali/Archivio Fc Clivense 

La promozione della Clivense, che fu Chievo. Parla Sergio Pellissier

Francesco Gottardi

L'ex capitano dei veronesi, ora presidente, è tornato in campo a 43 anni nell'ultima partita stagionale. "Questo è solo l’inizio: l’obiettivo era metterci la faccia, tornare famiglia, vincere. Ce l’abbiamo fatta, ora pensiamo al futuro. Oltre la Seconda Categoria"

L’avevamo lasciato lì, spoglio. Guardiano di un tesoro perduto. Poi ecco l’allenatore. La squadra. Le strutture. E il nuovo corso del vecchio Chievo, ormai Clivense, posa la prima pietra: promozione in Seconda Categoria. Con Sergio Pellissier ancora a segno. Presidente goleador a 43 anni appena compiuti, davanti a duemila tifosi. “E sapete una cosa?”, dice al Foglio, il giorno dopo la partita della festa: “Non era facile ricreare lo spirito della società che fu in così poco tempo. E nemmeno tornare a giocare dopo tre stagioni, sia pure nell’ultimo livello del calcio dilettantistico. La testa vorrebbe ma il corpo non concede più: se sprinto come una volta, sai che male…”.

 

Pellissier non è tipo da protagonismi. Ma se tocca, tocca. “L’avevo promesso: per il match della matematica – la Clivense ha vinto il campionato con una gara d’anticipo, ndr – sarei sceso in campo”. Notte di gala alle porte di Verona. Lo stadio Olivieri, nuova casa gialloblù, è tutto in ghingheri: biglietti ‘Sergio is back’, striscioni da Serie A, vecchie glorie sugli spalti. Spiega Pablo Granoche: “Non potevo perdermi il ritorno del capitano”. E infatti: traversa, passaggio vincente e doppietta nel 5-0 finale sulla squadra B del Pozzo. Dagli assist di Luciano e Semioli a quello di Inzerauto, che prima di arrivare al Céo faceva il serramentista in Lombardia. Pellissier ricorda quand’era stata l’ultima volta? “Dal dischetto mi pare contro la Fiorentina. Su azione l’1-1 con l’Inter, ma non vorrei sbagliare”. Tutto giusto: 2018/19, Lafont e Handanovic in porta. “Brividi, a ripensarci oggi. Dopo il ritiro ci si rende davvero conto di cosa vuol dire segnare a quei campioni, a 40 anni”. Sembra ieri. “No. È passata un’eternità. Ma festeggiare fra la propria gente resta speciale. Posso solo dire grazie”.

 

FotoUdali/Archivio FcClivense

 

In principio è stata dura, dopo la rifondazione dello scorso agosto. “Abbiamo amalgamato tracce del nostro Chievo con tanta aria fresca”, spiega il presidente. “Al mio fianco in dirigenza c’è Enzo Zanin, il mister è Riccardo Allegretti mentre Nicolas Frey”, fratello di Sébastien, “ci ha dato una mano coi provini”, che hanno portato in rosa anche Davide, portiere come papà Lorenzo Squizzi. Tutti ex veterani. “Gli altri sono ragazzi straordinari che hanno mollato tutto per buttarsi in questa avventura. Uno di loro fa ogni giorno avanti e indietro da Padova: non ha ancora saltato un allenamento”. Pellissier preferisce non svelare chi. “Ho detto uno ma potrei dirne venti. Questa è partecipazione, attaccamento genuino: anche per rispetto della categoria, qui non paghiamo nessuno. Ma tutti beneficiano della Clivense: oltre 300 spettatori in media sono un numero impensabile, da far sentire professionisti per un giorno anche gli avversari. Eppure in questa squadra si gioca per passione. Senza calcoli o chiedere nulla in cambio: solo il desiderio di fare parte del progetto. Sono i valori che ho visto mancare negli ultimi anni di Chievo”.

 

L’anteprima del fallimento. “Ma allo stesso tempo mi manca la fase precedente: i tanti record di un club sano”, il re dei pandori Campedelli e quell’inaudita scalata calcistica, “che stiamo cercando di reincarnare. Perché questo è solo l’inizio: l’obiettivo era metterci la faccia, tornare famiglia, vincere. Ce l’abbiamo fatta, ora pensiamo al futuro. Oltre la Seconda Categoria”. Senza più revival di Pellissier calciatore, allora. “Ma da presidente mi diverto tantissimo”, sorride lui. “Quest’anno ho intravisto nei miei ragazzi quel che ero io da giovane: spensierato, un pallone e tanto da correre”.

 

E gli irriducibili del grande calcio che effetto fanno? Buffon, Ibra: anno più anno meno, gli sgoccioli della generazione di Sergio. “Noi ci siamo conquistati il posto con sudore e determinazione. Sempre. Quindi capisco chi non vuole mollare finché dura. E intanto continua a fare la differenza”, la frecciatina dell’ex attaccante. “Le colpe dei giovani di oggi però sono da attribuire a chi non vi investe. Bravo Gravina a riconfermare Mancini alla guida della Nazionale, perché i capolavori non si cancellano. Ma poi c’è da cambiare tanto: se altri paesi hanno ragazzi più forti è perché se li creano da zero. Vivai, centri sportivi, progetti a lungo termine”. In Italia invece si abusa dell’usato sicuro. Le big vivacchiano, giustizia sportiva permettendo. Le piccole spariscono. “Dopo il mio Chievo anche il Catania. Dispiace vedere società storiche finire in questo modo indegno. Che si impari la lezione: mai fare il passo più lungo della gamba, mai perdere di vista la base”. In tribuna, per Pellissier, mercoledì c’era anche Giovanni Sartori: l’artefice del Chievo dei miracoli, oggi direttore sportivo dell’Atalanta. Pure, dei miracoli. “Vedete? I frutti del buon lavoro si raccolgono ancora”. Sui logori campi della Clivense stanno appena tornando le prime foglie: svolazzanti cartelli numero 31, come la maglia di Sergio. Più che ostinato passato, un voto al futuro.

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