La scalata alla Cipressa durante la Milano-Sanremo del 2021 (foto Luca Bettini per BettiniPhoto, via LaPresse) 

il foglio sportivo

Sfuggire alla logica alla Milano-Sanremo

Giovanni Battistuzzi

Dicono sia improbabile (e intendono impossibile) scattare prima del Poggio. E così davvero? La Cipressa è l’ultimo baluardo dell’anarchia, il luogo dei romantici

La logica, almeno quando si muovono i pedali, ha nulla a che fare con il lògos. Rientra piuttosto nel campo del calcolo delle probabilità, che altro non è che una spinta all’attesa, all’essere guardinghi. Soprattutto quando la ragione impone di confrontare il computo delle energie rimaste con i chilometri che mancano e le difficoltà o non difficoltà altimetriche che restano da affrontare.

Vale ovunque, soprattutto alla Milano-Sanremo (che si corre finalmente il giorno di San Giuseppe, così come doveva essere per scelta del 1937).

Perché trecento chilometri sono tanti, tantissimi. Perché le ascese sono quelle che sono, i velocisti sono determinati a non farsi fregare una delle poche occasioni che hanno per vincere una Classica, per di più Monumento (ossia il massimo per prestigio nel ciclismo mondiale), e c’è sempre qualche gregario abbastanza in forze per riportare i capitani sui fuggitivi.
È sempre difficile sfuggire alla logica nella Classicissima.

Talmente difficile che le opzione alternative al tentativo disperato, quello sull’ultima ascesa di giornata, il Poggio, non vengono prese davvero in considerazione.

Sarà anche per questo che è da decenni che si vagheggia l’idea di cambiarne il percorso, di inserire di qua o di là una nuova salita che possa cambiare i connotati alla corsa. Il casting è aperto, ogni tanto una nuova ascesa viene “scoperta” e se ne parla per un po’. Quando l’ipotesi viene presa davvero in considerazione accade qualcosa che la fa abortire. Tipo una frana. Come sulla strada che porta a Civezza sul finire degli anni Novanta. Come sulla strada che porta a Pompeiana nei primi anni Dieci del Duemila.

Lo spirito della Sanremo è così: gliene frega niente di cambiare. Sa benissimo di essere perfetta, a modo suo, con le ultime trovate aggiunte al percorso di sempre da Vincenzo Torriani.

Quale altra Classica Monumento rimane incerta, incertissima, aperta a ogni conclusione, sino alle ultime centinaia di metri? Nessuna. E che male c’è se finisce allo sprint? Se un velocista impone la propria volontà? Poveri velocisti, continuamente considerati una sorta di pària del ciclismo.

Foto LaPresse

 

La Milano-Sanremo è rimasta se stessa, immutabile o quasi, almeno nella parte finale. L’ultima novità nel 1982, quando venne inserita la salita della Cipressa, tra il Capo Berta e il Poggio. È il penultimo slancio verso il cielo, il luogo dei romantici. Perché dopo di essa, c’è spazio solo per il tentativo disperato, sia questo ascensionale, sul Poggio, o marittimo, all’ultimo chilometro, ultima possibilità per fregare i velocisti rimasti. Mai troppi, ma sempre abbastanza per riempire gli ordini d’arrivo.

La Cipressa è fuga dal mare, un’escursione nell’entroterra, in quel lembo di Riviera che profuma di pini marittimi, ulivi, sterpaglia e salsedine, nel quale il Tirreno è un’enorme macchia blu, vicina ma non prossima. Sono cinque chilometri e seicento metri, duecentotrentaquattro metri di dislivello che fanno quattrovirgolauno per cento di pendenza media, nove di massima. Ma non conta. Contano mica le cifre laggiù. Conta soltanto l’idea di inseguire l’improbabile che ormai coincide con l’impossibile. Perché, prassi vuole che la Sanremo si vinca in via Roma all’ultimo chilometro, al massimo a salire verso Poggio, o a scendere dal Poggio. Ma non lì, non sulla Cipressa, non a oltre venti chilometri dall’arrivo. Perché scattare lì vuol dire, si dice, bruciarsi, azzerare le possibilità di vittoria. Vuol dire, si dice, sprecare energie, fregarsi le gambe che invece dovrebbero essere tenute “fresche” (sempre che sia possibile usare il termine fresche dopo oltre duecentottanta chilometri) per il Poggio.

La logica è conservativa, non tiene conto della meraviglia. Per questo chi di logica si arma vince così tanto. Ma se l’improbabile (che dicono impossibile), si realizza… ecco che tutto cambia, che la logica regredisce, si frantuma e rimane una sensazione d’ebbrezza imparagonabile, che nemmeno litri e litri di birra possono pareggiare.

La Cipressa è l’ultimo baluardo dell’anarchia, un ribaltamento del buon senso. È soprattutto speranza. E speranza di condivisione. Perché da soli non si va da nessuna parte, ma in quattro o in cinque, magari con la gamba buona, ecco che nulla diventa davvero impossibile, che la rivolta può concretizzarsi. Il problema è sempre stato quello di trovarli. Perché mica sono tanti quelli disposti a credere nell’improbabile (che dicono impossibile).

Impossibile non fu per Laurent Fignon nel 1988 assieme a Maurizio Fondriest, per Gianni Bugno nel 1990, e tutto solo, per Gabriele Colombo nel 1996, in collaborazione con Alexander Gontchenkov, Michele Coppolillo e Maximilian Sciandri. Per non parlare di quanto fece Claudio Chiappucci nel 1991, in fuga addirittura dal Passo del Turchino.

 

 

Ma forse all’epoca l’improbabile si limitava a essere improbabile e ancora non erano riusciti a spacciarlo per impossibile.

A Sanremo nulla è impossibile. Se è riuscito a vincere un Festival Valerio Scanu e a salire sul podio Filiberto di Savoia, vuol dire che, in fondo in fondo, la città è davvero un casinò e un colpo di ruolette giusto può capitare.

La Cipressa è terra di conquista per i romantici, per gli avanguardisti del bello, per chi tra il vincere e il non farlo, preferisce vincere ma per bene, in modo plateale ed è disposto a rischiare la fregatura. È il luogo d’elezione della dolcezza dell’utopia. Quella che inseguì il 20 marzo del 1999, dalle 15,45 e in mondovisione, Marco Pantani. Si alzò sui pedali, scattò e tentò la rivolta. Gli andò male. Lo striscione d’arrivo lo attraversò per primo Andrei Tchmil, con un colpo di classe e di prestigio, uno scatto a ottocento metri dal traguardo tanto improbabile quanto uno scatto sulla Cipressa, che nessuno riuscì a riprendere e a cancellare dalla memoria.

Si sa mai come andrà a finire una Milano-Sanremo. Riesce sempre e in ogni caso a stupire.

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