L'arrivo della Milano-Sanremo 2005 vinta da Alessandro Petacchi (foto LaPresse) 

Il Foglio sportivo

Alla Milano-Sanremo (e non solo) tutti odiano i velocisti

Giovanni Battistuzzi

Si corre la Classicissima. L’obiettivo è il solito: fare fuori gli sprinter. Perché nessuno li ama?

Ora che la generazione del futuro è diventata presente, che la banda di giovanotti senza paura delle fughe, delle prove di forza da lontano, delle mattate sui pedali, sembra aver preso il dominio del campo d’azione, tutto sembra possibile. Tanto che anche una corsa come la Milano-Sanremo, considerata vetusta e fuori luogo da almeno un paio di decenni, troppo facile – come se fosse una passeggiata di salute pedalare per quasi trecento chilometri –, sembra di nuovo modernissima, il teatro perfetto per la sfida dei nuovi alfieri del ciclismo. Anche senza il cambio di percorso introdotto l’anno scorso che aveva reso più dura la corsa. Una modifica resa necessaria per il tradimento di tredici sindaci che avevano negato il passaggio agostano della Classicissima per salvaguardare la salute degli abitanti, così dissero, e soprattutto non creare problemi ai turisti del Ferragosto pandemico.

 

Mathieu Van der Poel, Wout Van Aert, Tadej Pogačar (che però oggi non sarà al via), Thomas Pidcock, oltre a Julian Alaphilippe, che nonostante i soli due anni in più dei primi due sembra già un vecchio zio, sono riusciti nel miracolo di evitarci la solita tiritera sulla necessità di inserire qualche salita in più nel percorso della Sanremo.

In questi anni la Riviera di Ponente è stata scandagliata in lungo e in largo alla ricerca di strade all’insù da far percorrere ai corridori, così da modificare la tradizionale filastrocca CapoMele-CapoCervo-CapoBerta-Cipressa-Poggio, quella che tiene assieme le ultime fatiche altimetriche del percorso. Una frana fra Noli e Varigotti nel 2008 aveva imposto una variante su per l’altipiano delle Manie (è durata fino al 2014). Un’altra ha evitato l’ingresso della salita che portava a Pompeiana, tra la Cipressa e il Poggio, penultima e ultima ascesa della Classicissima.

Tutto sembra dimenticato ora. Tanto, si pensa, a far fuori gli indesiderati ci penseranno i ragazzotti. Perché tutta questa ricerca di nuovi chilometri ascensionali aveva un unico fine: far fuori i velocisti. Come se una classica monumento (le più antiche e prestigiose corse in bicicletta) che si risolve allo sprint fosse un peccato capitale.

È da tempo che i velocisti sono diventati i pària delle grandi corse in bicicletta. D’altra parte i tifosi sognano l’uomo solo al comando e gli sprinter soli non sono mai, sono abbandonati dai loro compagni di squadra a poche centinaia di metri dal traguardo e sotto allo striscione d’arrivo si ritrovano (quasi) sempre spalla contro spalla con qualcun altro.

   

  

Il Poggio, nel 1960, e poi la Cipressa, 1982, vennero inserite dallo storico patron del Giro d’Italia (e delle altre corse organizzate dalla Gazzetta dello Sport) Vincenzo Torriani per rendere loro la vita difficile anche nella classica più veloce e più imprevedibile del calendario ciclistico. È rimasta questo la Milano-Sanremo, nonostante tutti i tentativi – effettuati o soltanto immaginati – di cambiarla: un rebus difficile da risolvere, un traguardo alla portata di tutti, una lunga processione che si accende improvvisamente a una trentina di chilometri dall’arrivo, che si tramuta in roulette e che può premiare sia l’azzardo dell’attacco che quello della difesa. E che sino alle ultime centinaia di metri è aperta a ogni conclusione.

Ci vorrebbe un movimento che sposasse la causa dell’autodeterminazione dei velocisti, categoria bistrattata, che tentano continuamente di rinchiuderla in riserve di tolleranza, concedendo loro al massimo qualche tappa nei grandi giri. Servirebbe qualcosa che provasse a far capire ai più la grande bellezza delle volate, del lavoro gregario che c’è dietro a uno sprint, di quel continuo accelerare di uomini dediti alla causa dell’uomo più veloce. Tutto ciò però è qualcosa che sembra essere fuori tempo massimo. E già da qualche anno. 

 

Nel 2017 Michal Kwiatkowski, Peter Sagan e Julian Alaphilippe avevano dimostrato che la volata poteva essere anticipata. Ma solo in compartecipazione. L’anno successivo ci pensò Vincenzo Nibali a far capire che anche da soli ci si poteva ribellare al volere del gruppo. Nel 2019 fu Alaphilippe a celebrare la terza via, lo sprint di gruppetto. Ora tutto sembra pronto per il festival del coraggio e dell’azzardo delle nuove leve del ciclismo. Assistere a degli scatti che possono arrivare all’arrivo prima del Poggio non sembra più utopia: un modo per gentrificare la Cipressa.

Intanto i velocisti non si scompongono, abituati come sono a tutte queste angherie. È gente dura, solida, determinata. E chissà se in tutta questa rivoluzione, la Sanremo non possa trasformarsi in baluardo della restaurazione.

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