
Foto LaPresse
Fiorentina-Juventus è un questione cromatica
Bianconeri e Viola giocano la semifinale d'andata di Coppa Italia. Per capire la loro rivailità serve affidarci a Michel Pastoureau e al suo "Il piccolo libro dei colori"
“Il destino, quando apre una porta, ne chiude un’altra. Dati certi passi avanti, non è possibile tornare indietro”. Quando Victor Hugo pronunciò questa frase non poteva certo immaginare che un giorno Fiorentina e Juventus si sarebbero sfidate per una semifinale di Coppa Italia a poco più di un mese dal passaggio di un giocatore come Dusan Vlahovic dall’una all’altra squadra. Il dissapore tra le due tifoserie è cosa nota. Se poi ci mettiamo a elencare i nomi dei trasferimenti beh… non vorremmo essere tra le fila dei tifosi della Viola.
Dall’ultimo calciomercato sono cambiate parecchie cose in casa Juve. A dire il vero, sono cambiati equilibri molto più a est di Torino e ben più importanti e preoccupanti di quelli calcistici. Intanto la nebbia dei mesi scorsi ha lasciato qualche spiraglio ai raggi del sole e finalmente s’intravede il mondo a colori: la speranza per i tifosi è quella che l’ultima parte di stagione prenda la piega di un arcobaleno al termine del quale mi piace pensare che, come ci dicevano da bambini, si trovi un tesoro, o almeno qualcosa che ci dica dei nostri sogni e desideri, delle nostre speranze. In tutti sensi.
Facciamo un passo indietro: come se non fosse sufficiente il fatto che dalle parti di Firenze si siano portati a casa qualcosa come 78 milioni circa di plusvalenza, tutti hanno passato giorni a chiedersi il perché e il percome di un trasferimento del genere, se ci fossero i soldi o meno, se la Viola sia o no la cantera della Juve, al punto che i tifosi bianconeri ringraziano i rivali – a questo punto ex – di sempre con un simpatico cartellone: “Da Baggio a Vlahovic passando per Chiesa… Grazie succursale e alla prossima spesa”. Ma è davvero possibile spiegare questo andirivieni tra Firenze e Torino senza tirare in ballo, come al solito, servilismi, giochi di potere, aiutini, ruberie e chi più ne ha più ne metta?
Proviamo ad affidarci a Michel Pastoureau che ne Il piccolo libro dei colori prova a darci un consiglio: “Imparate a pensare a colori, e vedrete il mondo in un altro modo!”. Che nel calcio i colori siano importanti e un dato di fatto, al punto che i cromatismi della maglia definiscono la squadra senza bisogno di nominarla. I colori però sono lunatici, non si lasciano imprigionare in categorie; nessuno sa quali e quanti siano. I bambini per esempio ne nominano spontaneamente tre; Aristotele ne contava quattro. Ma per Pastoureau non ci son santi: ne esistono sei, non di più. Insieme al blu, al rosso, al giallo e al verde, non potevano certamente mancare il bianco e il nero. Non si offenda nessuno – del resto l’ha detto il pallone d’oro di questa materia – ma il viola non c’è. È solo un colore di secondo livello. Un comprimario insomma… E questo vorrà pur dire qualcosa no? Inoltre il bianco è il colore della vecchiaia e della saggezza, e il tutto si addice a una Vecchia Signora. Apro una parentesi (sento già le risate dei detrattori, e della maggioranza dei tifosi avversari, ma pace): il bianco è anche il colore dell’innocenza. Il nero invece è un colore da prendere con le molle, come la Juve di questi tempi di alti bassi e di infortuni a raffica, ma non è così uniforme e disperato come si tende a credere.
Nonostante la lezione di Rubens, pittore colorista come nessun altro, che si appassionò così tanto a quei colori, al punto da assoldare squadre di incisori per far riprodurre e diffondere i suoi quadri in bianco e nero, quell’anti-juventino di Newton, rendendo visibile la composizione dello spettro dell’arcobaleno, ci aveva provato ad escludere i nostri colori preferiti e a mettere proprio il viola al primo posto del continuum cromatico.
La verità è che “non si potrebbe fare a meno del bianco e nero per descrivere il mondo a colori”!
E sarà per questo che dopo gli illustri trasferimenti del Divin Codino, del capitano Chiellini, Bernardeschi, Federico Chiesa, del trascurabile Felipe Melo e della comparsa Neto, questa volta la società ha superato se stessa assecondando i desideri dei tifosi e di un fuoriclasse dal talento cristallino che ha già fatto dimenticare Ronaldo nonostante abbia sulle spalle lo stesso iconico numero 7.
Probabilmente lo sapevano non solo Di Livio, Torricelli, Cuccureddu e Gentile – per citare alcuni pilastri tra i più vincenti – ma anche i vari Mutu, Amauri, Balzaretti, Marchionni, Maresca, Miccoli, Zanetti che, prima di vestire il viola, hanno pensato bene di dipingere le proprie carriere con i colori di primo livello.
Proprio come la Juventus, “col bianco, suo compare, il nero ha dato luogo a un immaginario a parte, a una rappresentazione del mondo veicolata dalla fotografia e dal cinema, a volte più veridica di quella descritta dai colori” e come insegnano le ultime giornate di campionato, “l’universo del bianco e nero, che si credeva relegato nel passato, è ancora qui, profondamente ancorato ai nostri sogni e forse al nostro modo di pensare”.
Dopo gli anni d’oro in cui abbiamo visto una Juve in HD con la Joya e il Pipita, dismessi i VHS, i CR7 e ormai anche i DVD, speriamo stasera di goderci una partita in DV7 e di giocarci questa sfida con l’eleganza del nero e la serenità del bianco, senza fare la solita confusione a centrocampo che, di solito, sembra più un quadro di Jackson Pollock.


sul tetto del mondo
Le ragazze del volley azzurro conquistano la loro seconda Nations League di fila

Gli scacchi presi con filosofia