(foto EPA)

Elogio del bad boy Djokovic

Giuliano Ferrara

La libertà del campione serbo non toglie la gioia di vivere, la incrementa. Accanimento anche no, grazie

Volevo compagnia nel mio solitario affetto per Djokovic, il serbo cattivo, è arrivato un eccellente come sempre Mattia Feltri, alla ricerca del talebano che è in noi supervaccinisti. Sapete che vi dico? Se uno non vuole vaccinarsi, peraltro in un contesto in cui non vige l’obbligo, si prende il Covid due volte, immunizza così il suo fisico bestiale, e argomenta con elegante pacatezza la sua scelta, bè, io lo rispetto. Non tutti sono Paragone o Pappalardo, mi sembra ovvio. Non tutti gridano al complotto per eccitare un falso spirito libertario e turlupinare la società di massa, non tutti sparano scemenze a ruota libera per ottenere una cosa forse perfino più pericolosa del Covid, la visibilità. C’è chi specula e chi paga in solido. Novak viene scambiato a torto per un pericolo pubblico, fatto oggetto di una stupida giustizia esemplare, roba da aborigeni civilizzati che come diceva l’ineffabile principe Filippo “combattono ancora con le lance”, colpito nell’orgoglio di numero uno e nel portafogli, già bello gonfio per meriti, s’intende, ma sempre un portafogli. Filigrana degli sponsor, titoli sportivi, che poi sono il suo mestiere, reputazione universale.

Quel fenomeno di Nadal mi ha salvato la vita, in compagnia dei formidabili medici dell’ospedale di Grosseto, sono riuscito a vederlo sul telefonino tra i fumi dell’anestesia e mi ha letteralmente risuscitato al quinto set, ma la libertà di Djokovic non mi toglie la gioia di vivere, la incrementa. Intanto uno vale uno, nel senso del numero uno, cosa un po’ diversa da altre equiparazioni farlocche. Un altro numero uno, Maradona, si era incocainito, e tutti lo ricordano come un Che Guevara, ma Nole fa la dieta, si riguarda a modo suo, rischia forse e forse no, dipende anche dall’età, fatti suoi, direi. Quanto alla trasmissione di virus e idee virali sbagliate, dovremmo avere capito che i vaccini sono un’arma formidabile, imprescindibile, benedetta, ma non sono una cortina di ferro né per sé, malattie gravi dei vulnerabili (quorum ego) a parte, né per gli altri. L’accanimento dunque ha un sapore amaro di rigorismo imbecille anche per noi terzadosisti non talebani. Nessuno deve incontrare Djokovic nel vicolo, non è il vicino della porta accanto, anche lui titolare del suo diritto ma con juicio, nel contesto, nel contesto, nel contesto, e a Melbourne o a Parigi o a Wimbledon mi basta che un supercampione si faccia regolari tamponi, poi voglio vederlo giocare, punto. Non è più complicato di così.

Nole è un very bad boy. Frequenta male al suo paese, forse per ragioni di esasperato e fanatico patriottismo. Ma sa anche fare cose buone, più di Mussolini, addirittura. La cosa che sa fare meglio è aprirsi come un uccello fantastico, da sogno, e ribattere la pallina a chi gliela ha tirata. Dicono alcuni che gioca come un burocrate, e sia, se ne sentono tante. Tra quelli che gli tirano le palline, esponendosi al rischio del grottesco, e lui che le ribatte, io sto con lui, e con Mattia Feltri. Spero proprio che agli Internazionali di Roma, al Roland Garros e a Wimbledon non ripetano la farsa delle lance giustizialiste, esemplari, sommarie, come metodo di parificazione dell’imparificabile e di eguagliamento ingiusto, che abbiamo vissuto quando gli è stato impedito, a Nadal e a lui, di battersi a armi pari e a vaccino dispari. L’epica ha le sue regole bronzee che la ragione sanitaria, valida per noi mortalissimi suberoi, non conosce.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.