Ugo Tognazzi e Domenico Luzzara (Wikipedia)

il foglio sportivo

Di Luzzara non ce ne sono più

Alberto Facchinetti

Divenne presidente per caso, fece grande la Cremonese per onorare il figlio e anche dopo aver lasciato la squadra viene ricordato per il prestigio che gli resituì. Ritratto di un presidente vecchia maniera

Fa il suo ingresso nel mondo del pallone nel 1967, quasi per caso. Il ragionier Domenico Luzzara ha avviato da tempo un’azienda di impianti elettrici, dopo essere stato negli anni Quaranta il primo impresario del coetaneo Ugo Tognazzi, anche lui di Cremona, e aver aiutato la lotta partigiana in città. Siccome avanza alcuni milioni di lire per i lavori di illuminazione dello stadio Zini e questi soldi non riesce in altro modo a recuperarli, entra nell’Unione Sportiva Cremonese, una società che economicamente se la passa male e calcisticamente peggio. Non è mosso da un sentimento forte per questo sport, ma il figlio Attilio ne è innamorato. Quando il ragazzo muore tragicamente in un incidente stradale a poco più di 20 anni, la Cremonese è in Serie D e il presidente Luzzara invece di mollare, fa del club la sua seconda famiglia. La storia della squadra per i trent’anni successivi non sarà più la stessa.

 

Nel gennaio 1971 Luzzara fa una grande operazione di mercato. Riesce a portare a Cremona il concittadino Aristide Guarneri, che non si trova bene al Palermo dopo gli anni con la Grande Inter con cui ha vinto tutto. “Luzzara era un uomo giusto, una bravissima persona”, dice oggi al Foglio Sportivo l’ex difensore. La Cremonese viene promossa in Serie C e il decennio che viene lo trascorre in questa categoria con un episodio di B. La prima storica promozione in A è del 1984. Per molte stagioni sarà un ascensore perfetto tra la massima serie e quella inferiore. Nel 1993 vince la coppa Anglo-Italiana con Gigi Simoni. Il 27 marzo i grigiorossi battono a Wembley il Derby County. Il 13 giugno sono promossi nuovamente in Serie A, dove restano fino al termine della stagione 1995-96. È il momento d’oro prima di sprofondare pian piano addirittura in C2. Luzzara, di cui ricorre il centenario il primo gennaio di questo nuovo 2022, è costretto a lasciare il club per motivi economici all’inizio del nuovo millennio.

 

Proprietari come Luzzara nel calcio di oggi non ce ne sono più. Simbolo della stessa società che presiede, soccombe economicamente anche a causa della sua creatura. Il club non può permettersi più, in un football ormai entrato in nuova èra, troppi stipendi da Serie A. Dal settore giovanile della Cremonese sono usciti nell’era Luzzara calciatori come Cabrini, Prandelli, Vialli, Marcolin e Favalli, ma una volta diventato grande il club va in difficoltà anche nella gestione del vivaio.

 

Mario Montorfano è uno dei calciatori con più presenze nella storia dell’Unione Sportiva Cremonese. Tra il settore giovanile e la prima squadra, da giocatore e da allenatore, è stato 35 anni in grigiorosso. Un record di fedeltà. Ha conosciuto bene Luzzara “anche se mi ha sempre chiamato per cognome, al Mario è arrivato solo quando sono diventato allenatore in C. Se lui non avesse lasciato la presidenza, credo che sarei rimasto ancora sulla panchina della prima squadra”, racconta Montorfano al Foglio Sportivo. “Non era mai invadente, non era tra i cosiddetti presidenti vulcanici. Si fidava ciecamente del suo braccio destro Erminio Favalli e tra loro parlavano in dialetto. Io non l’ho mai sentito alzare la voce una volta. Mi commuovo ripensando a certi episodi. Noi calciatori eravamo abituati a guadagnarci ogni stagione il nuovo contratto. Io andavo verso i trenta e pensavo che dopo tanti anni di attaccamento alla maglia avrei meritato un biennale. Vado a parlare con lui e Favalli, io in piedi e loro seduti su una panchina. Parlo per due minuti, il discorso me l’ero preparato mentalmente a casa. Poi il presidente con una mano infilata sotto la cintura, che era la sua posa tipica, si rivolge in cremonese all’amico, chiudendo la trattativa: Erminio, fagli il contratto che questo è un bravo ragazzo”.

 

Luzzara non era famoso per essere uno che buttasse via i soldi. Nel 1989 la Cremonese batte 1-0 il Milan con gol di Dezotti su assist di Alviero Chiorri, a pochi giorni dall’impegno dei rossoneri con il Real Madrid in Coppa dei Campioni. Ai microfoni Rai il presidente sorridendo dice: “Bisogna andare adagio con i premi partita… Però lo prenderanno e anche subito”. Amedeo Goria quindi controbatte: “Guai se vincessero troppo allora”. Il presidente è felice.

 

Enrico Piccioni è stato un centrocampista della Cremonese in Serie A. Riconoscibilissimo per via di una folta capigliatura e per dei baffoni neri. “Si diceva avesse il braccino corto – spiega al Foglio Sportivo – però quando andai nel suo ufficio a siglare il primo contratto, assieme a mio fratello e a Erminio Favalli, trovai scritto sopra alla firma più di quanto immaginassi. Sei mesi dopo mi chiamò è mi rinnovò per altri tre anni con una trattativa semplicissima. Nel 1992 mi contattò la Sambenedettese, la formazione della mia città e subii il richiamo del mare. Ero ancora sotto contratto e avevo un parametro alto ma il presidente mi lasciò andare gratis. Se vuoi tornare a casa, ti lascio andare, mi disse”.

 

Nel 2002 Luzzara lascia una Cremonese in grosse difficoltà. Alla crisi economica si sommeranno i problemi di salute. L’amico Ugo Tognazzi, tifoso milanista con nel cuore la formazione della sua città, è morto già da tempo. Se ne è andato nel 1990, dopo una carriera straordinaria: spesso negli anni 80 si è visto sulla tribuna dello stadio Zini. Il presidente muore il 29 aprile 2006. Favalli, Miglioli e Ferraroni, gli uomini che hanno fatto grande la Cremonese oggi non ci sono più. Anche i due allenatori più amati da Luzzara – Simoni e Mondonico – sono scomparsi.

 

“Io e Finardi, altra gloria di quella Cremonese – conclude Montorfano – siamo andati a cena con il presidente quando stava già male e anche economicamente era lontano dai tempi migliori. Negli anni di splendore in A tutti a dire: grande Menico di qua, grande Menico di là. Ma secondo me è morto abbastanza solo. Un po’ è stato abbandonato anche da noi, mi fa male ammetterlo”.

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