Foto Spada/LaPresse

Il Foglio sportivo

Ibra, 40 e sentirli tutti

Giuseppe Pastore

Compleanno sul divano: Zlatan non si crede più Superman è da la sensazione di interpretare la sua professione come se fosse un free-lance

Ma che fine ha fatto Zlatan Ibrahimovic che questo weekend festeggia i suoi primi quarant'anni comodamente seduto sul divano di casa a guardare Atalanta-Milan? L'avevamo lasciato venti giorni fa miglior attore non protagonista di Milan-Lazio: entrò, gli si slacciarono le scarpe, segnò a porta vuota, fece genuflettere San Siro ai suoi piedi per la centesima volta in carriera e trovò anche il modo di infilarsi in un'ammuina finale insieme a Sarri e Lucas Leiva. Tre giorni dopo sembrava tutto pronto per il grande ritorno in Champions League ad Anfield, era stato già deciso che avrebbe parlato in conferenza stampa, ma in extremis una “sofferenza” al tendine d'Achille sinistro ha rinviato l'appuntamento a tempo indeterminato. Curiosamente, nel frattempo il ct della Svezia l'ha addirittura riconvocato in Nazionale per le partite di qualificazione Mondiale contro Kosovo e Grecia: quasi certamente Zlatan non ci andrà (e ci mancherebbe altro), ma particolari come questo aumentano la sensazione di un Ibrahimovic che ormai interpreta la sua professione come se fosse un free-lance, vivendo d'attimi e di sensazioni fisiche impalpabili come respiri. “Non sono Superman”, ha ammesso di recente, venendo meno alla retorica di super-eroe abbondantemente cavalcata sui social.

 

Alla sua quarantesima primavera Ibrahimovic è più autunnale che mai, ungarettiano, precarissimo. Gli attaccanti a fine corsa dichiarano di vivere gli sgoccioli della loro carriera “stagione dopo stagione”, ma Zlatan ha estremizzato il concetto: ogni partita potrebbe essere l'ultima, ogni allungo potrebbe essere fatale, ogni esultanza il canto del cigno. È una visione estremamente romantica del mestiere, per chi crede al romanticismo, ma anche l'ennesima pretesa da Marchese del Grillo, concessa dal Milan e lautamente retribuita. Non si capisce fino a che punto finisca la dimensione irriducibile dell'ultimo grande campione del Novecento e inizi il cinismo dell'uomo d'affari determinato a spuntare l'ultimo contratto milionario a una società che d'altra parte è ben lieta di appoggiarsi volentieri al suo totem, sempre molto redditizio dal punto di vista commerciale.

Per fortuna del Milan, la sua assenza tecnica non riempie più le pagine dei giornali, e non si parla più di Ibra-dipendenza: la squadra ormai corre da sola, e benone, anche senza di lui, l'area di rigore è riempita a turno non solo da Giroud (piuttosto autunnale anche lui) ma dagli assaltatori Rebic, Rafael Leao, Saelemaekers, Brahim Diaz. Lo stesso Pioli sta sgattaiolando dalla parte di “poliziotto buono” a cui bene o male l'aveva costretto il “poliziotto cattivo” Ibra, doppio ruolo necessario per educare al Milan un gruppo talentuoso ma giovanissimo, e adesso riempie le sue interviste di proposte e risposte meno prestampate che in passato. Le tifoserie e le squadre avversarie, poi, non lo considerano nemmeno. A quarant’anni, l’ultimo capolavoro di Zlatan potrebbe essere proprio questo: fare in modo che tutti si dimentichino di lui, gozzovigliando a palazzo come i Proci a Itaca, e travestirsi da vecchio. E allora, a quel punto...
 

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