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Il Foglio sportivo - storie di storie

A proposito di calcio popolare

Mauro Berruto

Mentre qui ci si sfiancava di acrobazie intellettuali contro la Superlega, in Inghilterra la gente scendeva per strada, fermava i pullman delle squadre coinvolte nell’operazione e faceva esplicitamente capire che quella cosa non andava fatta

Per 72 ore ci siamo scatenati nei commenti pro/contro l’operazione Superlega. Nel frattempo, mentre qui ci si sfiancava di acrobazie intellettuali, in Inghilterra la gente scendeva per strada, fermava i pullman delle squadre coinvolte nell’operazione e faceva esplicitamente capire che quella cosa non andava fatta. Provando a uscire dalla tentazione dell’etichetta giusto/sbagliato, è utile interrogarsi non solo sull’aspetto finanziaria della vicenda, ma anche su un patrimonio che potremmo definire intangibile e che, tuttavia, ha dimostrato la sua vitalità. Così mi sono venuti in mente due libri che hanno… lo stesso titolo!

 

 

Il primo è di Valerio Moggia, Storia popolare del calcio. Uno sport di esuli, immigrati e lavoratori (UltraSport, 2020). “Il calcio con la politica ha molto da spartire, perché la politica altro non è che l’idea che un soggetto ha della polis, cioè dello Stato e, in un’epoca ormai globalizzata, del mondo in cui questo Stato si muove. Lo sport è da sempre legato alla società e negarlo è stupido”, scrive l’autore nell’introduzione, svelando di essersi ispirato a Storia del popolo americano di Howard Zinn, importante storico il cui obiettivo era quello di raccontare la storia dell’America non dal punto di vista dell’élite dominante, ma della sua popolazione. Il primo capitolo del libro di Moggia, che si intitola Esproprio proletario, racconta proprio la transizione da uno sport nato per pochi, ricchi e acculturati, alle masse popolari. Da lì si parte per un incredibile tour nel tempo e nello spazio, con un capitolo che ci è utile per avere un elemento di comprensione in più sull’attualità e che si intitola La conquista degli stadi. Si legge: “Siamo portati a pensare che un club rappresenti un concetto astratto che non è facile intaccare e di cui la tifoseria è la vera custode. Di fatto, stiamo parlando di un’espropriazione (o riappropriazione) culturale che le masse popolari hanno operato nei confronti delle élite”.

 

Il secondo libro è di Mickaël Correia, Storia popolare del calcio (Leg edizioni, 2019 e andrebbe letto già solo per gustarsi, parola per parola, la bellissima e assennata prefazione di Bruno Pizzul. Il saggio dell’autore francese ha una struttura divisa in cinque macro-capitoli (Vietare, resistenza operaie contro l’ordine borghese; Attaccare, all’assalto delle dittature; Dribblare, eludere il colonialismo; Tifare, passioni collettive e culture popolari; Traboccare, di fronte all’industria del calcio: lottare e inventare). Anche in questo caso il libro va letto tutto, perché permette un viaggio nello sport più affascinante del mondo e che inizia con una citazione simmetrica e contraria alle premesse di Moggia: “Creato dai poveri, rubato dai ricchi”, lo striscione esposto dai tifosi del Club Africain di Tunisi, durante un incontro con il Paris Saint Germain nel 2017, la cui fotografia abbiamo visto circolare spesso sui sociali in questi giorni. Se volete una shortcut illuminante, andate subito alla quarta sezione, quel Tifare che conduce a letture sociologiche e antropologiche a partire (guarda un po’) proprio dall’Inghilterra e dalle sottoculture del tifo britannico. Insomma con questi due libri si fa ciò che in antropologia si chiama giro lungo. Si attraversa, intellettualmente, geograficamente, culturalmente il pianeta calcio e soprattutto il pianeta dei suoi tifosi.  E come sempre succede, dopo quel giro lungo, si torna a casa e si capisce di più.

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