Dopo l'eliminazione contro il Porto

Il piano inclinato di Ronaldo in Champions e una Juve troppo leggera

Gli errori di Pirlo e quelli di giocatori e società

Giuseppe Pastore

La scommessa CR7 per vincere in Europa è un ottimo brand ma è stata un fallimento tecnico. Adesso i bianconeri vanno verso una resa dei conti interna non più rimandabile 

Metti un po' di musica leggera perché ho voglia di niente. La leggerezza è niente soprattutto in Champions League, la competizione dove i dettagli sono pesanti come cocomeri, e nel romanzone da duecentotrentacinque minuti (recupero compreso) di Juventus-Porto la Juve è stata troppo leggera – anzi leggerissima. In modo inaccettabile: lo è stata dal minuto 1'01” della gara d'andata, con il famigerato pateracchio Bentancur-Szczesny che ha subito messo la faccenda in salita, al minuto 114'32” del ritorno, con la barriera umoristica Morata-Ronaldo-Rabiot a santificare uno di quei tanti tiri da lontano di cui è lastricato l'Inferno europeo della Juventus, da Magath a Casemiro passando per Lars Ricken.

In queste situazioni di errori endemici e diffusi come puntini rossi di morbillo, solitamente si chiede conto all'allenatore, ma chi ha la pazienza di seguirci da tempo su questi schermi oggi più che mai converrà che Pirlo indossa i panni del Signor Malaussène, capro espiatorio ideale per il basso ingaggio e le ancor più basse aspettative (nonostante una grancassa mediatica rapidamente smorzata: ma a rileggerli oggi, certi titoli...), e forse proprio per questo destinato alla riconferma. I suoi begli errori li ha commessi anche lui, per esempio ritardando ostinatamente l'ingresso di Kulusevski e rinunciando a vincerla ai tempi regolamentari; o non riuscendo, nonostante oltre settanta minuti di superiorità numerica, ad andare oltre lo spartito monocorde di una pioggia di cross che ha esaltato il 38enne Pepe, riemerso dal sottoscala del calcio europeo senza quasi dover commettere falli. L'elefante nella stanza è che tutti quei cross – alla fine addirittura sessanta, oltre la metà dello straordinario Cuadrado – avrebbero dovuto avere un destinatario, e che destinatario!, il miglior colpitore di testa del pianeta, l'uomo-Champions per definizione. E invece.

Nel calcio che cambia, mette in vetrina i nuovi super-eroi Haaland e Mbappé e con ogni probabilità stasera si prepara a spazzare via anche Messi, circondato da figuranti nel Barcellona più triste del quindicennio, Cristiano Ronaldo non è più il ghepardo di una volta. Nella serata che doveva essere tagliata a sua immagine e somiglianza, l'Accentratore per definizione si è nascosto dall'inizio dalla fine, entrando negli highlights solo per un colpo di testa malamente messo a lato. La figuraccia sulla punizione finale significa soprattutto che quando piove di solito poi grandina anche, visto che è arrivata in coda alla peggior partita dei suoi tre anni bianconeri, soprattutto se commisurata all'importanza dell'evento. Le sue tre Champions juventine sono un piano inclinato: nel 2019 i quarti con l'Ajax, quando si era fatto notare per un gesto inequivocabile verso Allegri, a significare mancanza di coraggio; nel 2020 i poco gloriosi ottavi con il Lione, anche se quantomeno si era caricato l'intera Juve sulle spalle; adesso la doppia scena muta tra andata e ritorno, nemmeno troppo francobollato da un Porto coraggioso, che anche nei momenti di apnea ha preferito alle barricate una difesa sfacciatamente alta. La Juve ronaldizzata è sicuramente un bel brand da sbandierare sui social, dai ritorni economici non limpidissimi ma sicuramente degni di nota; il contesto tecnico europeo però continua a urlare che il pallone rotola in tutt'altra direzione, gli one-men-team non tirano più e del resto non tiravano neanche prima, visto che CR7 ha inanellato la sua sfilza di Champions anche grazie a gente come Sergio Ramos, Modric, Kroos, Bale, Marcelo, che la Juventus non possiede nemmeno alla Playstation. L'esperimento Ronaldo, il più affascinante mai tentato in serie A dai tempi dell'altro Ronaldo, uno spettacolare e rischioso “o la va o la spacca” approvato nell'estate 2018 da Agnelli senza l'assenso di Marotta per inseguire la Balena Bianca dalle Grandi Orecchie, è stato un fallimento tecnico e si può scriverlo in assoluta tranquillità, soprattutto perché contemporaneamente la Juventus non ha saputo liberarsi di antiche zavorre filosofiche che ai fini dell'assalto alla Champions erano ancora più sottilmente insidiose: per esempio, il dibattito tra Sarri e la vecchia guardia che ha costretto la Juve a far fuori un allenatore poco incline alla diplomazia, ma che oggi, paragonato all'attuale, sembra Rinus Michels. Il commento affilatissimo di Fabio Capello, che ha accusato i senatori Buffon, Chiellini e Bonucci di non averci messo la faccia a fine partita (al contrario dei “giovani” Chiesa e De Ligt), potrebbe anticipare una resa dei conti non più rimandabile, nel nome di un bilancio da bonificare, visto che non casualmente Andrea Agnelli un giorno sì e un giorno no spinge sul pedale della Superlega o perlomeno di una Champions formato Eurolega, al momento l'unica prospettiva concreta per innaffiare di miliardi freschi l'orto appassito del calcio europeo. E naturalmente l'ennesimo cortocircuito oltre-confine chiama in causa anche i più convinti sostenitori del nuovo corso, Fabio Paratici e Pavel Nedved, autori ed esecutori di una serie di errori stilistici e sostanziali, sublimati in un mercato dispendioso e non privo di belle intuizioni (McKennie su tutti) che però ha prodotto un distacco di dieci punti (riducibili a sette) dall'Inter e una Champions finita già in inverno, con ulteriori ricadute finanziarie. E uscire contro un avversario così modesto, ridotto in 10 per oltre metà partita, oscura tutti i segnali incoraggianti che stavano punteggiando gli ultimi due mesi di stagione. Al terzo anno della CR-Era rimane ancora inevaso l'interrogativo simbolo della carriera del portoghese: è possibile dare un gioco armonioso alla squadra di Cristiano Ronaldo, o bisogna rassegnarsi a lasciar fare tutto a lui?

Anche nel 2020-21 la Vecchia Signora rimane così tra color che son sospesi come gli inquilini del Limbo dantesco, che troviamo nel secondo dei 34 canti dell'Inferno: uno in più delle 33 eliminazioni in Coppa dei Campioni della Juventus, tutte più o meno efferate, dal ghiaccio di Istanbul ai bidoni della spazzatura agitati da Buffon dopo il crudele trattamento-Ronaldo riservato nel 2018 alla Juventus di Allegri, una versione molto più intensa e presente a sé stessa di quella attuale, pasticciona e lunghissima già a primo tempo. L'involuzione è palese e qualche maligno già sussurra che sia stata incoraggiata, programmata a tavolino, un anno zero per tagliare i troppi rami secchi di cui è stato necessario caricarsi anche “per colpa” di Ronaldo. Se fosse davvero così, non sarebbe neanche una cattiva idea, a patto che l'estate – che già si annuncia economicamente molto difficile – porti il coraggio di fare piazza pulita degli equivoci anagrafici che si trascinano da troppi anni e di prendere una direzione chiara, internazionale ma sul serio, senza saltare di palo in frasca da Sarri, svolta qualitativa solo di facciata, a questa specie di autogestione che mortifica soprattutto Pirlo, un teorico massimalista come tutti i debuttanti, che del piccolo artigianato della panchina non sa ancora nulla, come rivelano i suoi balbettii quando Capello gli ha chiesto chi avesse deciso di schierare siffatta barriera sulla punizione di Sergio Oliveira. In natura e nella vita la leggerezza può anche essere una qualità, specialmente in questi tempi di teste e cuori pesanti; ma può indurre anche al vizio della superficialità, della presunzione, dell'incapacità di leggere i problemi in anticipo. In questo senso, quest'anno troppe volte la Juve è stata leggera. Anzi, leggerissima.

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