Foto tratta dal profilo Twitter @GliAutogol

La dura legge degli Autogol

Moris Gasparri

Perché piace così tanto il trio comico che si è imposto sui social ricordandoci il dovere di ridere del calcio  

Nonostante l’accumulo di romanzi, saggi, narrazioni, statistiche, il motivo principale del fascino attrattivo del calcio non risiede nella sua funzione di stimolo riflessivo, bensì nella sua capacità di “mettere in pausa” il mondo liberandoci – solo momentaneamente, purtroppo – da costrizioni e responsabilità, comprese quelle del pensiero, in un piacevole infantilismo di ritorno (en passant, è il motivo per cui lo sport, seguendo la celebre stroncatura pascaliana di ogni forma di divertimento, fatica a essere considerato e affrontato nei loro studi da filosofi e intellettuali). Nel divertimento offerto dalle vicende calcistiche è compresa anche la possibilità di ridere, ed è su questo binario che si incrociano gli Autogol, trio comico formato da Alessandro Iraci, Alessandro Trolli detto “Rollo” e Michele Negroni, esploso sul web agli inizi della seconda decade del nuovo millennio e da tempo asceso a fama nazionalpopolare, con tanto di recentissimo approdo a Radio Due.

 

C’è un fatto che desta grande curiosità: con 16,9 milioni di interazioni social (dati riferiti al mese di dicembre 2020), gli Autogol si posizionano da tempo al secondo posto della classifica degli influencer nostrani elaborata e costantemente aggiornata da Sensemakers e Prima Comunicazione, tra l’inarrivabile Chiara Ferragni e Fedez. Questi dati certificano una realtà: quasi ogni cittadino italiano dei circa 36 milioni che hanno una presenza su Facebook è entrato direttamente o indirettamente in contatto con le loro parodie dei principali personaggi della Serie A, e in moltissimi fra questi avranno sicuramente compiuto almeno una volta una delle seguenti azioni: ridere per il gatto Pancrazio, taggare amici nei commenti ai video sui personaggi idealtipici del Fantacalcio, ascoltare i propri figli recitare a memoria i loro tormentoni, accennare le mosse ancheggianti di Baila como el Papu. Una presenza pervasiva, nata per gioco e cresciuta fino a toccare numeri che mandano in visibilio gli esperti del marketing digitale, come i 45 milioni di visualizzazioni su Youtube della hit estiva ideata nel 2017 assieme al calciatore argentino. Mentre il potere della Ferragni è stato oggetto nell’ordine di: articoli, tesi di laurea, recentemente anche di un libro di filosofia, sugli Autogol nessuno ha speso delle analisi per comprendere le ragioni di questo grande successo, figlio, come nel caso della blogger cremonese, di un percorso nato e cresciuto interamente all’interno dei nuovi strumenti digitali di comunicazione, in questo caso Facebook. L’occasione per farlo ce la offre la recente uscita del loro libro Il calcio (non) è una cosa seria (Piemme), in cui sono raccontate le tappe di questo percorso.

   

Il “potere degli Autogol” è interessante da analizzare perché rappresenta un’autocoscienza del calcio italiano, offrendoci diversi spunti d’interesse. Il primo è legato alla loro provenienza territoriale – San Genesio e Uniti, paesino di tremila anime del contado di Pavia – non una provincia qualunque nelle vicende nazionalpopolari italiane. Fu un altro figlio di questa terra a pronunciare una frase-chiave per spiegare il successo del trio comico: “Il calcio è la mia antropologia”. Parole di Gianni Brera, uno dei figli più celebri del contado pavese, che nei suoi corsivi sul Guerin Sportivo degli anni Sessanta del secolo scorso dedicò a Pavia numerosi pensieri di celebrazione della sua grandezza perduta, capace di superare nell’alto medioevo quella di Milano e Torino?

   

Contrariamente a quanto si potrebbe ipotizzare, questa frase non appartiene al grande giornalista, bensì a un influencer ante litteram, che con il suo magistero pop seppe rendere immortale la vita di provincia pavese di inizio anni Novanta, tanto da venire elevato da una penna raffinata e curiosa come quella di Edmondo Berselli a sociologo di riferimento delle trasformazioni italiane post Guerra Fredda. Stiamo ovviamente parlando di Max Pezzali, e dell’epopea degli 883. La citazione sul calcio è contenuta in un’intervista rilasciata proprio al compianto giornalista modenese nel maggio del 2000. Impossibile non collegare la storia degli Autogol alla sua figura, anche per legami simbolici molto diretti, come la frequentazione della stessa scuola – il liceo scientifico Copernico – e un identico modo di vivere il successo e la fama, con la scelta di non modificare le proprie tranquille abitudini provinciali. Nell’immaginario degli Autogol sono scomparsi i “due bar e le centosei farmacie”, sostituiti da altrettanto mitologici riferimenti al calcetto e al Fantacalcio, ma la vera chiave del loro successo, oltre al talento comico e creativo, risiede proprio nell’esatta comprensione del fondamento antropologico richiamato da Max Pezzali, che nel loro caso significa la produzione a getto continuo di gag e sfottò variamente assortiti aventi come riferimento principale Juventus, Inter e Milan.

   

Sarebbe interessante condurre un lavoro storico di ampio respiro per indagare come, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, queste tre realtà calcistiche nate come simboli cittadini, siano progressivamente divenute nazionali soprattutto attraverso la loro conquista delle menti e dei cuori dell’Italia di contado, trasformando e plasmando la vita quotidiana e le rappresentazioni identitarie dei discendenti dei contadini ottocenteschi recentemente studiati da Adriano Prosperi; e ancora, degli impatti profondi e duraturi prodotti da Calciopoli in questo tessuto sociale e nelle sue rappresentazioni mentali. Da buoni cattolici credenti gli Autogol nelle loro gag sono però ecumenici, in uno stile improntato alla leggerezza capace di stemperare e smussare contrasti e rivalità (non a caso i commenti ai loro post sembrano vivere su un altro pianeta rispetto alle dinamiche di odio verbale dei social), interpretando – come si descrivono nel libro – il ruolo di “artificieri”. In quest’aspetto c’è una grande differenza con lo stile perfido della Gialappa’s, il grande e probabilmente insuperabile modello di riferimento della comicità applicata al calcio italiano. Il secondo tema d’interesse fa ancora riferimento al pensiero pezzaliano, ed è la riproposizione in chiave calcistica della nostalgia. Il simbolo nostalgico per eccellenza nelle loro parodie è rappresentato dalla figura di Massimo Moratti, presenza rassicurante capace di garantire una continuità tra le ère del capitalismo calcistico mecenatizio, del capitalismo politico cinese e quella prossima ventura del capitalismo finanziario anglosassone, in realtà separate da un profondo abisso. Nonostante il mezzo tecnologico del loro successo rappresenti una grande discontinuità con l’epoca del calcio raccontato da tv e carta stampata, gli Autogol sono imbevuti, per loro stessa ammissione, delle atmosfere della Serie A tra metà anni Novanta e la vittoria nella Coppa del Mondo del 2006, gli anni d’oro del calcio italiano costantemente richiamati nel libro anche perché legati all’altro topos essenziale di ogni nostalgia, il periodo liceale, il momento cui il rapporto con la propria squadra del cuore è più forte e viscerale e la deresponsabilizzazione nei confronti della vita è massima. Una nostalgia in cui i cameo di Ciccio Caputo e Fabio Quagliarella riportano a quelli delle sigle di Mai Dire Gol, in una comicità calcistica “pane e salame”. Continuerà a essere possibile anche in futuro, in un’epoca di uffici stampa dei grandi club professionistici ormai trasformati in “apparati sovietici” di controllo e censura preventiva? Questo, tra le righe, un dubbio evocato dagli stessi autori.

   

Il terzo motivo richiama lo spirito cattolico prima accennato. Come raccontato nel libro, i primi passi degli Autogol vennero mossi nel gruppo teatrale dell’oratorio di San Genesio, mentre la prima realtà che nel 2008 credette nel loro talento affidandogli un programma fu Radio Ticino, storica emittente della diocesi di Pavia. C’è un altro episodio che colpisce da questo punto di vista, riferito al primo video girato con Ciro Immobile, in cui il giocatore della Lazio viene scartato a una partita di calcetto. Leggiamo nel libro che ad accompagnare gli Autogol sul set c’era anche un amico prete. Questo legame tra fede cattolica e antropologia calcistica non è un aspetto secondario o di costume. La cultura cattolica è stata la vera levatrice della cultura calcistica italiana, soprattutto nella già richiamata Italia provinciale e di contado: nel rapporto tra calcio, parrocchie e oratori non sono cresciuti solo tanti calciatori professionisti, ma soprattutto buona parte dell’attuale sistema del calcio dilettantistico. Non fa onore alla cultura sportiva italiana il fatto che il bellissimo libro dello storico dello sport francese Fabien Archambault – Le controle du balon. Les catholiques, les communistes et le football en Italie – non sia ancora stato pubblicato nel nostro paese, nonostante sia uscito quasi un decennio fa. Nel loro legame con la vita di oratorio gli Autogol ci ricordano quest’eredità costitutiva del calcio italiano, e a voler vedere bene anche il Buffon parodizzato a colpi di scommesse e soprattutto bestemmie fa parte di questo retroterra, perché come ci ricordano alcuni antropologi le bestemmie hanno senso solo in società dove sia ancora vivo il sentimento religioso.

   

L’ultimo spunto ci porta dalla nostalgia per il passato al futuro. Analizzare il successo social degli Autogol significa prendere atto della loro presa fortissima nelle fasce d’età più giovani della popolazione italiana, confermata nel libro dalle testimonianze di Javier Zanetti e Gianluigi Buffon relative ai propri figli, una piega riscontrabile anche nell’ultima scelta stilistica di utilizzare il linguaggio dei cartoni animati. Un quadro che contrasta con gli scenari recentemente evocati da Andrea Agnelli – suffragati da ricerche commissionate dall’Eca, su un pubblico giovanile europeo non più così attratto dal calcio – e che, ammettiamolo, regala un respiro di sollievo: un mondo senza passione calcistica non assomiglia forse all’Inferno?  

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