Setteperuno

Resistere allo sport

Marco Pastonesi

Dumoulin si prende una pausa dal ciclismo, Murray prova a continuare, McGregor annuncia di non voler mollare, Ghirardini saluta, Feuz si gode il momento di un insperato ritorno

Il più leggero è Tom Dumoulin, ciclismo: “Come se mi fossi tolto dalle spalle uno zaino di cento chili”. Il più devastato è Andy Murray, tennis: “Mi sento male perfino a dirlo”. Il più felice è Beat Feuz: “Finalmente”. Il più deluso è Conor McGregor, arti marziali miste: “Non era più – ha dichiarato il suo avversario, Dustin Poirier – quello di prima”. Il più sereno è Leo Ghiraldini, rugby: “Era il momento giusto per lasciare”. Storie di chi molla e di chi insiste, di chi lascia e di chi resiste.

  

Tom Dumoulin, 30 anni, olandese, primo al Giro d’Italia 2017, secondo al Tour de France 2018, campione del mondo a cronometro e nella cronosquadre nel 2017, ha detto basta: “Qualche anno fa ho ottenuto ottimi risultati. Fino ad allora ero abituato a gestire solo le mie aspettative e già quello può essere stressante, ma poi si sono aggiunte anche quelle di altre persone ed è stato molto più difficile del previsto riuscire a gestirle. Adesso è il tempo di fare chiarezza con me stesso: forse voglio ancora essere un ciclista professionista, ma devo iniziare a curarmi meno di ciò che pensano gli altri e fare un mio piano. Mi prendo tempo per questo”. E ancora: “Da molto tempo ormai sento che è molto difficile per me orientarmi come ciclista. Voglio che la squadra sia felice con me, voglio che gli sponsor siano felici, voglio che mia moglie e la mia famiglia siano felici. Voglio il bene di tutti, ma soprattutto voglio il mio di bene. Cosa voglio? Voglio ancora essere un ciclista? Se sì, come?”. La pausa di riflessione, a stipendio zero, che ha chiesto e ottenuto (o forse suggerita e imposta dalla squadra), sa tanto di addio.

  

Andy Murray, 33 anni, scozzese, ha rinunciato agli Australian Open: positivo al Coronavirus. Ma è da più di un anno che si moltiplicano le voci sul suo abbandono al mondo del tennis. Primo nella graduatoria mondiale nel novembre 2016, è scivolato fino al 118° di quella attuale. E i tre titoli del Grande Slam (due a Wimbledon, uno all’US Open), l’oro olimpico (a Londra nel 2012) e il trionfo nella Coppa Davis (nel 2015) sono soltanto ricordi. Problemi fisici, innanzitutto: un dolore all’anca che gli impediva addirittura di allacciarsi le scarpe. “Non sto bene – confessò la prima volta che si fermò, due anni fa -. Sto lottando con il dolore da molto tempo, probabilmente 20 mesi, ed è abbastanza. Ho fatto tutto quello che potevo per provare a stare meglio, ma non ha funzionato. Mi sento meglio di qualche mese fa, ma c’è ancora molto dolore. È stato difficile. Non si tratta soltanto del dolore, è semplicemente… troppo. E non voglio continuare così”. Adesso la pandemia: “Abbiamo discusso costantemente con la federazione australiana per cercare una soluzione che consentisse una qualche forma di quarantena praticabile, ma non siamo riusciti a trovarla. Voglio ringraziare tutti per i loro sforzi, sono devastato di non giocare in Australia: è un Paese e un torneo che amo”.

  

Beat Feuz, 34 anni il prossimo 11 febbraio, svizzero, dopo quattro secondi posti ha finalmente conquistato il primo a Kitzbuhel, addirittura due volte nelle due discese libere sulla classica e spaventosa pista di Hahnenkamm. Dichiarazioni ricche di superlativi: “E’ stato bellissimo”, “E’ stato molto speciale”, “E’ stato meraviglioso”, “E pensare che alla fine non mi sembrava di aver fatto abbastanza”, “Non guardo i risultati, mi sto solo godendo il modo in cui scio adesso”. E’ questa la formula del successo, e anche della felicità. Perché di circostanze per smettere di sciare, Feuz ne ha collezionate almeno quanti sono stati gli infortuni: un legamento crociato del ginocchio nel 2007, un altro simile nel 2012, così gravi da fargli saltare intere stagioni.

   

Conor McGregor, 32 anni, irlandese, è finito k.o. dopo due minuti e 32 secondi del secondo round. Al tappeto. Lui, The Notorious, il più celebre e celebrato degli specialisti di questi combattimenti in cui sono permesse tutte le tecniche delle arti marziali. Un atleta, ma anche un artista. Un guerriero, ma anche un danzatore. Nel suo repertorio non solo pugilato e taekwondo, karate e kickboxing, ma anche capoeira. Fino al match, una rivincita, contro lo statunitense Poirier, ad Abu Dhabi, duemila spettatori assembrati al bordo della gabbia. Un match senza storia. McGregor aveva trascorso la settimana che precedeva l’incontro raccontando ai giornalisti di prevedere che l’avrebbe vinta entro 60 secondi. Ma era un Poirier diverso da quello che aveva sopraffatto quando entrambi si trovavano nella categoria dei pesi piuma. “Tornerò sul ring perché è quello che voglio fare – ha poi dichiarato agli stessi giornalisti – E prenderò le mie botte. Adesso però sono distrutto, è dura da mandare giù. Voglio solo tornare in albergo, rilassarmi con i miei figli e riorganizzarmi”.

  

Leo Ghiraldini, 36 anni, tallonatore, 107 “caps” con l’Italia, è invece uscito dal campo: “Ho sempre dato tutto me stesso per l’azzurro, dentro e fuori dal campo, consapevole che non fosse un diritto acquisito giocare per l’Italia, ma facendo il possibile per conquistarmi quel diritto. Ogni convocazione con la Nazionale l’ho considerata un’occasione unica e speciale, da vivere con tutta l’energia, la passione e il rispetto possibile, perché questi momenti non sono mai scontati. Ho rappresentato il mio Paese a ogni livello, dall’Under 16 a quattro edizioni della Coppa del Mondo. Ho avuto il privilegio di capitanare l’Italia in molte occasioni, di giocare in tutti i più importanti tornei dell’Emisfero Nord. Ma credo sia il momento giusto per dare il mio addio al rugby internazionale. Lascio una piccola porta aperta al rugby giocato, ma è tempo per me di guardare oltre, al mio futuro professionale e a quello della mia famiglia”.