Roger Hassenforder, il ciclista che voleva fare il clown

Giovanni Battistuzzi

È morto a novant'anni il corridore che poteva essere campione ma ha preferito ridere. Aveva la classe dei grandi e un grande sogno che non si è mai avverato: "Fare il pagliaccio in un circo"

Da bambino sognava i tendoni, la vita errabonda. Quest’ultima è riuscita ad averla, i primi invece li ha sostituiti con gli striscioni. Quelli d’arrivo, quelli dei traguardi volanti, quelli dei tifosi. “Fosse stato per me avrei fatto il clown in un circo. La vita mi ha portato a far altro. Peccato, ma non sono deluso. In un modo o nell’altro il pagliaccio sono riuscito a farlo comunque”. Roger Hassenforder diede la colpa ai soldi. “Non ne avevo, ma mi piacevano assai”, confidò ad Antoine Blondin raccontandogli della sua prima corsa, quella che non doveva essere la sua prima corsa. Aveva diciassette anni ed era tra il pubblico a vedere una corsa in circuito. “Andavano tutti piano, mi sembravano fermi. E così scommisi con un tale che aveva una bici che avrei fatto il miglior tempo. Questo rise e rincarò la posta in gioco. Mi prestò la bicicletta e il miglior tempo lo feci davvero. E poi migliorai pure. Mi riempii le tasche di franchi. Ci feci una gran mangiata. Le gare successive scommettevo su me stesso e oltre i premi mi portai a casa anche i soldi delle scommesse. Non persi mai. Poi dovetti far sul serio però”, disse.

   

Roger Hassenforder sul serio non lo fece però mai fino in fondo. E nonostante questo una trentina di vittorie le portò a casa (otto al Tour de France). “Avesse avuto la testa del campione Hassen sarebbe stato quello che sono stati Louison Bobet e Jacques Anquetil per la Francia: i migliori”, disse Jean Robic, un Tour de France vinto in carriera e suo compagno di squadra in due edizioni della Grande Boucle. “Perché 'Hassen' era un campione, aveva le doti dei grandi, ma anche la capacità di prendere tutto alla leggera, di non dare peso alle cose. A lui vincere non interessava, lui voleva solo divertirsi e far divertire”.

   

Quando Roger Hassenforder scattava in pochi erano in grado di stargli dietro. Sulle salite corte era una furia, in pianura era un treno, in discesa un funambolo. Una volta Rudi Altig, uno dei passisti più forti della storia, gli andò dietro. “Fece uno scatto e lo seguii. Scattò di nuovo e feci fatica. Scattò ancora e strinsi i denti. Scattò una volta di più e non mi sentii più le gambe. Lo lasciai andare. Mancavano novanta chilometri all’arrivo ed ero sicuro che non ci sarebbe stato niente da fare. Un quarto d’ora dopo lo vidi scherzare a bordo strada con una decina di amici. A fine tappa mi disse che era da tanto che non li vedeva e voleva chiacchierarci un po’. Non l’ho mai capito Hassen”.

   

Neppure lui, per la verità, si comprendeva appieno. “Cosa ho fatto da professionista? Parecchio casino. Perché l’ho fatto? E chi lo sa”. “La mia vita è stata un romanzo”, disse all’Equipe qualche anno fa. “Non rinnego niente, ma forse qualche cosa in più in bacheca ora mi manca. Avrei dovuto fare molto meglio. È che sono arrivato troppo presto. Mi sarebbe piaciuto essere un corridore adesso, faticare meno e guadagnare molti soldi in più”.

   

Per Pierre Chany “Hassenforder aveva solo un grande limite: la tenuta sulle lunghe salite. Ma era un problema di tenuta mentale, non fisica. Sarebbe potuto diventare un gran corridore pure lì”. Ne era convinto pure Charly Gaul, “ma per fortuna nessuno glielo disse mai, altrimenti per chi doveva corrergli contro sarebbe stato un problema. Però che risate. Una volta scattò a duecento chilometri dall’arrivo. Dopo una ventina di chilometri, dalla moto ci segnalarono che aveva già una dozzina di minuti di vantaggio. E noi non stavamo andando piano. Dopo altri dieci chilometri segnalarono venti minuti di vantaggio. Ci preoccupammo. Qualche minuto dopo lo vedemmo risalire il gruppo da dietro. Si era accordato con il motociclista e si era nascosto. Più di uno lo avrebbe menato volentieri”, raccontò il lussemburghese all’Equipe.

   

Roger Hassenforder scherzava su tutto. Su Fausto Coppi: “Era fortissimo, strabiliante, infatti quando il Tour lo vinse Bahamontes in realtà era Coppi travestito da Bahamontes, ma Federico mi ha sempre detto di non dirlo”. Su se stesso: “Mai dare un talento a un clown, se va bene riderebbe di questo, se va male ci inciamperebbe su”. Sulla morte: “Una volta mi arrivò una lettera di Hassen che mi annunciava che si stava per suicidare. Attraversai la città e lo trovai in vasca da bagno con l’acqua tutta rossa. Stavo per piangere quando un suo buuuu mi fece per venire un infarto. Mi ripigliai solo dopo tre ore. Lui rideva ancora”, raccontò Pierre Pigarde, suo amico e compagno di scorribande giovanili.

   

Questa volte però Roger Hassenforder non scherzerà più. È morto davvero l’altra notte.

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