Viaggio nella periferia della Champions League 2020/21

Giovanni Battistuzzi

Midtjylland (avversaria dell'Atalanta), Krasnodar, Rennes e Istanbul Başakşehir sono alla prima partecipazione alla coppa europea più importante. L'importanza di esserci e le difficoltà a resistere tra le migliori 32 d'Europa

Quando il 6 aprile del 2016 Dieter Hecking uscì dal terreno di gioco della Volkswagen Arena e sparì nel sottopassaggio che portava agli spogliatoi aveva la faccia contenta e un sorriso spensierato. Ne aveva ben donde. Mica da tutti è battere per 2-0 il Real Madrid ai quarti di finale di Champions League. Soprattutto per una squadra come il Wolfsburg che alla coppa più importante d’Europa ci partecipava per la seconda volta nella sua storia e che mai era arrivata dov’era arrivata. Qualche decina di minuti dopo, davanti ai microfoni della televisione, la felicità era leggermente scemata, non estinta, però talmente sobria da risultare praticamente invisibile. Disse che avevano fatto la partita che dovevano giocare e che miracolosamente tutto era andato come doveva andare, cioè “fin troppo bene”. Spiegò anche che il Real è una grande squadra, che un quarto di finale dura centottanta minuti e non novanta e altre cose sentite e risentite. Poi concluse con un “a volte la periferia del mette sotto scacco il centro, ma quasi mai è uno scacco matto, va spesso, anzi quasi sempre, a finire che il centro rimane centro e che la periferia rimane periferia. Le coppe europee sono un microcosmo dove l’integrazione quasi mai funziona”. 

 

  

Sei giorni dopo una tripletta di Cristiano Ronaldo rese evidente che Dieter Hecking c’aveva visto giusto: 3-0 al Bernabeu, risultato ribaltato, Real Madrid in semifinale e Wolfsburg a casa. I Blancos quella Champions League la vinsero battendo in finale l’Atlético Madrid ai rigori. Per i tedeschi fu invece l’ultima partecipazione. 

 

Il centro del calcio europeo è un mondo elitario al quale ci si può saltuariamente avvicinare, ma dove entrare è difficilissimo. Il Wolfsburg è stato solo uno dei parvenu che hanno provato a mettere un piede all’interno prima di essere rispediti nel loro feudo periferico. 

 

La periferia del calcio europeo è un territorio mellifluo in continuo movimento. È una palude dalla quale si può uscire a furia di centinaia di milioni di euro e nella quale ricaderci è un attimo. Nella quale però già entrarci “tanto male non è. Permette di dare ossigeno al bilancio, soprattutto, se ci si muove con accortezza e intelligenza, dà la possibilità di creare le basi per qualche successo futuro”, raccontò l’ex presidente del Club Brugge Michel D'Hooghe nel 2009 alla fine del suo mandato presidenziale. L’ex presidente della federcalcio belga, ora nel consiglio di amministrazione della compagine fiamminga, grazie ai soldi della doppia qualificazione in Champions (stagioni 2003/2004 e 2005/2006), risistemò le finanze della società, rifinanziò il settore giovanile e ampliò il vecchio stadio. I tre titoli nazionali, le due Supercoppe, le quattro partecipazioni alla Champions nelle ultime cinque stagioni sono il risultato di “quell’investimento oculato di una dozzina d’anni fa”, ha più volte sottolineato il nuovo presidente Bart Verhaeghe. Il Club Brugge quest’anno proverà a superare la fase a gironi. Se la vedrà con la Lazio, il Borussia Dortmund e lo Zenit San Pietroburgo. Le possibilità sono poche, le speranze anche, “ma il terzo posto – che assicura i sedicesimi di finale di Europa League – possiamo giocarcelo”. 

 

Tra le nuove entrate nella periferia della Champions League quest’anno ci saranno, in ordine alfabetico di girone: Midtjylland (gruppo D), Krasnodar e Rennes (E), Istanbul Başakşehir (H). In più ci sono due squadre che da un po’ non frequentavano le telecamere della più importante coppa europea: Borussia M'gladbach (B) e Ferencváros (G). Per i bookmakers saranno le squadre materasso dei quest’edizione. 

 

Midtjylland 

Gruppo D con Ajax, Atalanta e Liverpool 

I danesi non esistevano sino al 1999 quando l’Ikast FS e l'Herning Fremad si fusero per dare vita a un club che potesse puntare a una dignitosa sopravvivenza nella Superligaen, la Serie A danese. L’Herning Fremad era un club senza storia, ma dai conti a posto. L’Ikast FS invece era stata una squadra di successo negli anni Settanta, la prima in Danimarca a dotarsi una serie di osservatori che battevano tutto lo Jutland e a stringere rapporti di partnership con alcune delle migliori squadre tedesche dell’epoca. Tutto naufragò per i problemi finanziari del presidente (leggenda vuole che c’entrasse il poker, la vodka e le donne). La gestione del Midtjylland si è da subito ispirata all’Ikast che fu: grande attenzione al settore giovanile, investimenti su di una nuova scuderia di osservatori. Le cose vanno abbastanza bene fino alla stagione 2009/2010 quando il club rischia il fallimento. I tifosi chiedono di entrare nella società prelevando delle quote, la dirigenza si rivolge all’estero. Il tracollo lo evita un miliardario indiano: Shrinivas Dempo. Le cose cambiano solo un anno dopo però quando Claus Steinlein viene promosso nella dirigenza dal settore giovanile nel 2012. Steinlein è un sostenitore della tecnologia applicata al calcio. È il primo a volere un sistema di studio dei dati dei giocatori. All’inizio è un sistema approssimativo e lacunoso, col tempo migliorerà sino a scovare in giro per la Danimarca e il mondo giovani di valore e soprattutto capaci di portare al club cifre importanti dalla loro cessione. Alexander Sörloth, Bubacarr Sanneh, Paul Onuachu, Pione Sisto, Rasmus Kristensen, Andreas Poulsen e Mikkel Duelund hanno portato nelle casse societarie circa 50 milioni di euro negli ultimi quattro anni. Ne sono costati in totale 2,5. 

 

Krasnodar 

Gruppo G con Chelsea, Rennes e Siviglia  

 

Prima dell’interesse del miliardario Sergey Galitsky a Krasnodar il grande calcio russo si era visto pochissimo e quando l’aveva visto erano state solo gran sacagnate. Il Futbol'nyj Klub Kuban' era una squadra che lottava per non retrocedere e quasi mai ce la faceva. Il Futbol'nyj Klub Kuban' non esiste più da due anni. In compenso dal 2008 c’è il Krasnodar che non ha titoli in bacheca e anche a tifosi non sta messo benissimo, seconda peggior squadra per numero di iscritti ai fan club tra le squasre della Prem'er-Liga. Poco importa perché il club è ricco, Murad Musayev è un allenatore affidabile che si affida a un gioco spigoloso ed efficace. In più ci sono quattro giocatori di ottimo livello: il portiere Matvey Safonov, il centrocampista olandese Tonny Vilhena e gli esterni d’attacco Wanderson, brasiliano, e Viktor Claesson, svedese. 

  

Rennes 

Gruppo G con Chelsea, Krasnodar e Siviglia 

 

Oltre un secolo di vita, tre coppe di Francia, qualche sconfitta di troppo e tante resistenze divenute storiche. Michel Platini, ai tempi neo acquisto della Juventus, descrisse il Roazhon Park, lo stadio dei rossoneri, come “un inferno calcistico”. In parte è ancora così, o almeno era così quando il pubblico c’era in tribuna. Senza spettatori sugli spalti il Rennes perde parte della sua forza. I buoni risultati di questi anni derivano dalla rivoluzione societaria di fine anni Novanta. Metà della dirigenza fu cacciata e l’allora neoproprietario François Pinault, il fondatore della holding Artemis e di PPR, oggi gruppo Kering (che comprende brand di lusso come Gucci, Yves Saint Laurent e Balenciaga) decise di applicare nel calcio ciò che aveva imparato nel collezionismo d’arte contemporanea: guardare al futuro e pensare a ciò che sarebbe potuto piacere alla gente. Il tutto mantenendo ben saldi due principi: senza classe e tecnica non si va avanti. Mise sotto contratto alcuni dei migliori osservatori del calcio francese e investì nel settore giovanile. La sua idea è quella di ridare ai bretoni ciò che Parigi ha tolto: la gloria. Per ora, almeno nel calcio, c’è riuscito solo a tratti. 

 

Istanbul Başakşehir 

Gruppo H con Manchester United, Paris Saint-Germain e Rb Lipsia 

 

Per il Financial Times è “il club del governo”. E a vedere da dove viene gran parte della dirigenza c’è da dare ragione al quotidiano inglese. Il proprietario Goksel Gumusdag, che nega, era (e forse è ancora) un funzionario dell’Akp, il partito che fa capo al presidente Recep Tayyip Erdogan. L’Istanbul Başakşehir non ha storia, è stato fondato nel 1990, ha pochissimi tifosi, ma guidati da capi ultras nazionalisti e islamisti, molto vicini all’entourage del presidente turco. In panchina però siede Okan Buruk, ex centrocampista con un passato all’Inter e, sostenevano in Turchia con legami con Fetullah Gulen, imam e finanziere che, secondo il presidente Recep Tayyip Erdogani, è stato il responsabile del fallito golpe del 15 luglio 2016. 

 

Di più su questi argomenti: