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il foglio sportivo - il ritratto di bonanza

Sì proposte, no battute

Alessandro Bonan

Il calcio è una delle prime tre industrie del paese. Non sappiamo ancora se il campionato riprenderà il suo corso o dovrà abdicare al Covid, ma pianificarne l’eventuale ritorno è un dovere pubblico

Anche il calcio si prepara alla cosiddetta fase 2. Molte le ipotesi, quasi tutte frutto di infinite discussioni. Tra queste, la più opinabile, riguarda i privilegi. I calciatori non sono cittadini al di sopra degli altri. Sacrosanto, ma non si può dimenticare ciò che il calcio rappresenta per l’Italia: una delle prime tre industrie del paese, forse la prima, se consideriamo l’intero indotto. Per cui è doveroso considerare tutte le ipotesi per far sì che questo motore italiano si rimetta in moto. Se non sarà possibile per motivi di salute ce ne faremo una ragione, ma escludere a priori che ciò possa accadere sembra essere piuttosto incomprensibile. Stupisce che vi siano alte personalità con importanti responsabilità scientifiche, e quindi anche sociali, esprimersi con tanta superficialità. “Io da romanista manderei tutto a monte”, una battuta certo, ma così intempestiva e fuori luogo da svilire qualsiasi restante considerazione da parte di chi l’ha espressa. Il direttore del Dipartimento delle Malattie Infettive dell’Istituto di Sanità, il professor Giovanni Rezza, ha sollevato un polverone ben sapendo che la polvere di questi tempi può diventare un’alleata del virus. Non sappiamo ancora se il campionato riprenderà il suo corso o dovrà abdicare alla potenza del Covid, ma pianificarne l’eventuale ritorno è un dovere pubblico. Non solo per la suddetta questione economica, ma per la funzione sociale del calcio in gran parte del mondo, e in Italia soprattutto.

 

Nel momento in cui sappiamo con certezza che i nostri mesi futuri saranno comunque diversi da una normalità fatta di passeggiate in centro con la famiglia, una chiacchierata al bar, una visita al museo, una serata al cinema o al teatro, sarebbe importante ritrovare un po’ della nostra perduta esistenza. E una partita di calcio, per quanto a qualcuno possa apparire effimera, sciocca, superficiale, rappresenta un ritorno alla vita, da consumarsi in casa, senza il rischio di contagi. Al fine di non essere fraintesi, occorre ripetere che la salute di nessuno vale una partita. Se i calciatori saranno garantiti, si proceda, altrimenti si chiuda anche questa strada, ben consapevoli del fatto però che il coronavirus sarà sconfitto in modo definitivo solo da quel vaccino che prima di un altro anno non arriverà. E questo è un discorso che vale per tutti, calciatori compresi, i quali però, piaccia o meno, sono seguiti quotidianamente da medici di primo livello, cosa che non sarà per operai, impiegati e molte altre categorie di lavoratori costrette a ricominciare. Per cui il quesito è: ha senso tenere il calcio chiuso ancora a lungo, magari per un anno? E’ una domanda, professor Rezza, e non si accettano battute.

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