Le regole del rugby e quelle di Joe Marler

Il pilone degli inglesi è stato giudicato colpevole di aver infranto la regola 9.27, quella legata alla sportività da mostrare in campo, dopo aver afferrato i genitali di Alun Wyn Jones

Marco Pastonesi

Sei Nazioni, Inghilterra-Galles, lo scorso 7 marzo: al settimo minuto del primo tempo, dopo una mischia, a gioco fermo, i due pacchetti degli avanti hanno qualcosa da dirsi. Uno di quegli incontri ravvicinati tipici in uno sport da contatto. Joe Marler, il pilone sinistro inglese, ha qualcosa anche da fare: con la mano sinistra afferra i genitali di Alun Wyn Jones, seconda linea e capitano gallese, e glieli strizza. Intanto si guarda intorno per controllare se l’arbitro e il guardalinee lo hanno scoperto. Loro no, ma una delle telecamere sì. In mondovisione. Jones è allibito: prima osserva la mano di Marler, poi anche lui si guarda intorno per cercare lo sguardo dell’arbitro e del guardalinee, ma tutti e due sono impegnati a sedare l’inizio di una rissa. Finché si torna a giocare. Ma alla commissione giudicante l’atto non è sfuggito, convoca Marler e lo giudica colpevole di aver infranto la regola 9.27, quella legata alla sportività da mostrare in campo e che punisce gesti come tirare i capelli, sputare o, come in questo caso, afferrare i genitali di un avversario. E lo squalifica con il minimo della pena, 12 settimane (il massimo è 24), ridotte di tre per alcune attenuanti e aumentate di una per la recidiva, totale 10.

 

Joseph William G. Marler, più semplicemente Joe Marler, per i compagni “Croissant” (“I ragazzi pensano che il mio naso assomigli a una brioche”), è un colosso di 120 chili per 183 centimetri con barba e capelli variopinti e variotagliati e orecchie a cavolfiore. Ha 29 anni, gioca negli Harlequins di Londra, è titolare nella prima linea dell’Inghilterra (68 “caps”, berretti, cioè presenze: anticamente si consegnava un berretto per ogni presenza in Nazionale), ha fatto parte anche dei British and Irish Lions (la selezione delle quattro nazioni britanniche) e dei Barbarians (una sorta di Resto del mondo, il cui motto dovrebbe escludere uno come Marler: “Il rugby è un gioco per gentiluomini di tutte le classi sociali, ma non lo è per un cattivo sportivo, a qualunque classe appartenga”). Un anno e mezzo fa Marler aveva deciso di ritirarsi dalle partite internazionali “perché è troppo impegnativo, voglio dedicarmi alla mia famiglia, chi mi restituirà mai gli anni perduti quando i miei figli crescevano?”. Parole sante, parole sagge, fin troppo per uno come lui, tant’è che un anno dopo ci ripensò, se le rimangiò e tornò nel Quindici dei Tutti Bianchi.

  

Ma i colpi di testa, autentici e metaforici, gli sono abituali. In carriera Marler ha collezionato molte più giornate di squalifica che non mete e, data la sua posizione in campo, più punti subiti in infermeria che segnati in campo.

 

Quella volta che ha oltrepassato la distanza di 10 metri prevista per rispettare la rappresentazione della haka (la danza di guerra maori) degli All Blacks dopo gli inni e prima dell’inizio della partita. Quella volta che ha preso a pungi il gallese Will Rowlands dei Wasps e a gomitate il samoano TJ Ioane dei Sale Sharks. Quella volta che ha dato dello “zingaro” al gallese Samson Lee durante un match del Sei Nazioni 2016. E tutte quelle volte che, non potendo sopportare la pressione e l’ansia, si lasciava andare a gesti inconsulti per essere squalificato e non rispondere alle convocazioni della Nazionale.

 

A volte Marler ha sorpreso anche per i suoi testacoda. Come quella volta che, alla Coppa del mondo 2019, ha sgridato i giornalisti inglesi perché alla conferenza-stampa si erano presentati in costume da bagno non rispettando la cultura giapponese. Altre volte ha stupito per il suo surrealismo. Come quella volta che, dopo una sconfitta subita dal Clermont Auvergne per 53-21, ha paragonato i giocatori ai cavalli: “Abbiamo avuto un’altra settimana per tornare sul cavallo e portare quel cavallo all’abbeveratoio e chiedergli: ‘Ehi, cavallo, vuoi bere o andare a nuotare?’ Tocca al cavallo decidere che cosa vuole fare nella vita. Al momento, quel cavallo vuole uscire sabato e clippete-cloppete andare allo Stoop (lo stadio degli Harlequins, ndr) e dire ciao ai tifosi”.

 

Gli avversari ben conoscono Marler. In una intervista al sito www.delinquenzaovale.it, Simone Ferrari, pilone del Benetton Treviso e dell’Italia, ha raccontato di come “Marler ama molto farti cadere nel tranello: ti lascia credere che puoi prenderti un determinato spazio per tutto il tempo dell’ingaggio e nei pochi secondi successivi, per poi cambiare improvvisamente angolo di spinta verso l’interno. Quindi, per me è stato fondamentale il riuscire a bloccarlo sin da subito verso l’esterno”. Non solo. “C’è un’altra cosa da dire: parliamo di un giocatore molto ruvido anche nel linguaggio. Lui provoca sempre, e per questo mi sono divertito! Ma sia chiaro, non c’è stata alcuna offesa. A fine partita, mi ha detto ‘tranquillo, ci rivediamo a Londra’. Da questo punto di vista, è il mio giocatore preferito, lo rispetto molto”.

 

Marler è fatto così. Lui sostiene che tutto sia cominciato “quando Olly Kohn, da tutti conosciuto come Fisherman’s Friend per i suoi modi gentili, mi ha detto che ero una testa di cazzo e da quel giorno ho sbroccato. Per me è stato catartico. Lo so che è una parola grossa, ma è anche quella giusta”. Alla sentenza del giudice, Marler ha comunque replicato: “Una coglionata. Una completa coglionata”. E poi ha chiuso l’account Twitter.

 

Il gesto di Marler ha diviso il mondo del rugby tra favorevoli e contrari alla decisione del giudice sportivo. Alun Wyn Jones ha spiegato che “dopo 138 partite per il mio Paese so che, se avessi reagito, sarei stato espulso”, poi ha aggiunto che “Joe è un bravo ragazzo e certe cose succedono sui campi da rugby. È difficile come capitano, perché sai che non si può parlare all’arbitro per qualsiasi cosa. Avevo cercato il guardalinee, ma lui non aveva visto quello che era successo, e questo accade. Ma tutti gli altri avevano visto, e questo è molto frustrante. Si parla di moviola in campo, ma non sempre viene applicata”.

 

Se i gallesi sono concordi nel condannare Marler, gli inglesi sono uniti nell’assolverlo. Ci dice che è stato uno scherzo, chi un gioco. Il più convinto difensore è Mike Brown, estremo negli Harlequins e a lungo anche per l’Inghilterra: “Marler è stato vittima di una caccia alle streghe. È vero che ha afferrato i testicoli di Alun Wyn Jones, ma è evidente che non ha compiuto un movimento energico. Il francese Mohamed Haouas ha beccato tre settimane di squalifica per aver colpito un avversario con un pugno alla cieca. Significa che colpire un giocatore alla mascella vale un terzo di tirare i testicoli. È assurdo”.

 

Fra le poche eccezioni c’è Clive Woodward, c.t. dell’Inghilterra campione del mondo nel 2003: “Sono sempre stato orgoglioso di non aver copiato nulla dalle altre squadre, ma ho apprezzato moltissimo il principio degli All Blacks del ‘no dickheads allowed’” (più o meno: non sono permesse le teste di cazzo). E’ la linea di condotta introdotta da tempo nella squadra neozelandese da Gilbert Enoka, il “mental skills coach”, un preparatore mentale, secondo cui sono i giocatori stessi a gestire il gruppo in modo che ognuno rispetti le regole, senza mettersi mai al di sopra della squadra e aspettarsi che per lui le regole siano diverse. Woodward: “Mi è sempre piaciuto come si sia comportata la Nuova Zelanda da questo punto di vista, evitando di chiamare giocatori che potessero creare problemi dal punto di vista mentale. Uno può anche essere un fenomeno in campo, avere un carattere forte, ma non deve essere motivo di imbarazzo per la squadra e la Nazione”.

 

Proprio tra i neozelandesi, una voce si è levata per minimizzare la particolare stretta di mano di Marler: quella di John Kirwan, ex All Black e c.t. dell’Italia. “Si è trattato di una ragazzata, di uno scherzo, di una cosa normale, come spesso succede su un campo da rugby. Soprattutto quando, ammucchiati dopo una mischia, ci sono giocatori che, per provocare, toccano, palpano, baciano o fanno apprezzamenti sessuali”. Ma proprio per questo la punizione è stata esemplare: perché “le strizzatine ai gioielli di famiglia” non diventino un rituale, una tradizione, un codice di appartenenza... ovale.

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