Coreografia dedicata a Federico Aldrovandi (foto LaPresse)

“Per te, per la tua indomita famiglia, perché non accada mai più”

Giovanni Francesio

La curva della Spal ricorda la morte di Federico Aldrovandi. E' ora di capire che negli stadi non ci sono solo violenti o razzisti, ma c’è un pezzo di società che usa quello spazio per combattere battaglie sociali e politiche

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Mercoledì sera la curva della Spal ha ricordato l’anniversario della morte di Federico Aldrovandi (ucciso da quattro poliziotti, condannati per “eccesso colposo di legittima difesa”, il 25 settembre del 2005) con una splendida, toccante, struggente coreografia. La gente ha composto con cartelli bianchi e blu la scritta “Aldro vive”, a coprire tutta la curva, con il volto di Aldrovandi che campeggiava al centro. Sotto, un solo striscione: “Per te, per la tua indomita famiglia, perché non accada mai più”. Sarà retorico finché si vuole, ma se si pensa a che cosa è successo quattordici anni fa, e ancor più a cosa è successo in questi quattordici anni, vengono i brividi anche solo a scriverne. “Ieri sera Federico c’era”, ha commentato il padre.

 

E fa piacere, senza nessuna ironia, che questa iniziativa della curva della Spal (e non solo di quella, sono state moltissime le curve che hanno ricordato il tragico anniversario) abbia distolto almeno per un po’ gli addetti ai livori dalla rabdomanzia dell’ululato e dalla predicazione sulle curve male assoluto. Chissà che non aiuti, almeno un poco, a capire che nelle curve, e negli stadi in generale, non ci sono solo violenti o razzisti, anzi, ma c’è un pezzo di società, e non la peggiore, che, come succede da mezzo secolo, usa quello spazio per esprimersi e combattere battaglie sociali e politiche.

 

Speriamo anche che ci si ricordi di questa serata, e di questa coreografia, quando ricapiterà (perché purtroppo, l’esperienza insegna, ricapiterà), che qualche pubblico ufficiale troppo zelante vieti l’ingresso delle bandiere con il volto di Aldrovandi in uno stadio, ritenendole, come scrisse il giudice sportivo Pasquale Marino nel dicembre 2017, “provocatorie nei confronti delle forze dell’ordine”.

 

Se si vuole davvero cambiare il clima dei nostri stadi, anche le istituzioni, e i media, devono accettare il fatto che il tempo dei divieti assurdi, e della colpevolizzazione di massa, è finito, e che perseguire gli ultras come movimento collettivo, invece dei singoli che commettono reati, non avrà altro risultato che quello di cancellare uno dei pochi veri spazi di aggregazione popolare che sono rimasti.

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