Piatek (foto LaPresse)

Il ritratto di Bonanza

L'errore da dimenticare

Alessandro Bonan

Piatek ha perso il tocco, si è spento l’incantesimo. Ma tornerà a essere cecchino

A chi non è mai capitato di sbagliare un gol a porta vuota? Si prova una sensazione facile da spiegare, un misto di rabbia e frustrazione. L’errore nel calcio fa parte del gioco, anzi ne è una sua essenza. Senza l’errore non esiste alcun risultato, ma molto spesso, in alcune personalità fragili, rende schiavi. Lo sbaglio crea un precedente che s’insinua nella testa di chi lo ha commesso, rimbalzando da una tempia all’altra, provocando altri fallimenti simili, in una spirale di insuccessi che spesso conduce il giocatore nell’oscurità dell’incertezza, il nemico subdolo di ogni calciatore. Ne sono vittima in tanti, portieri e centravanti soprattutto, in quanto per loro un errore non si rimedia mai.

 

Nel Milan fino a poco tempo fa c’era un signore che sembrava l’immagine della perfezione. Giocava lineare, un modello di esattezza. Come toccava la palla, questa filava veloce con ossequio. Gol. Ad ogni sua spietata esecuzione seguiva un rito, peraltro un po’ sinistro, quello delle pistole. Le quali fumavano continuamente da una città all’altra, dentro stadi piccoli e grandi. Il pistolero Piatek, non aveva pietà di nessuno, né si curava di quali fossero le valli circostanti. Giocava indifferentemente a nord e a sud, segnando davanti a bocche aperte e chiuse, uomini ostili o complici.

 

Piatek faceva gol sempre, senza ritegno, con uno stile personale, tra il rigido e il dinoccolato, un po’ come il cognome, che messo per scritto stride ma pronunciato a voce s’ingentilisce in musica. Poi all’improvviso, il vuoto, il nulla. Piatek ha perso il tocco, si è spento l’incantesimo. Giampaolo parla di misure sbagliate, come un geometra molto preciso, di spazi esagerati, come un architetto senza il gusto dell’azzardo, di corse all’indietro per andare avanti, come un maestro di musica di fronte al noioso precetto del solfeggio. Di tutta una serie di aspetti tecnici lontani dall’uomo. Probabile depistaggio di una persona saggia e intelligente, ottimo allenatore, ma tiepidi argomenti rispetto al nocciolo della questione: la testa del calciatore. E’ da cercare lì, tra la nuca e gli occhi, il senso di oppressione che ha colpito il polacco fino a renderlo anonimo, da tutto a qualcosa. Chissà dove risiede la primogenitura dell’accidente, il primo errore che il silenzioso Krystof non riesce a trascurare e che da allora rimbalza tra le sue tempie senza trovare il buco per uscire. Inutile cercarlo, sapere dove sia, molto più importante dimenticarlo. Perché soltanto in quel momento, magari già domenica a Verona, Piatek tornerà a essere ciò che è stato. E a ipotizzare che il vuoto in cui è precipitato dopo, addirittura, non ci sia mai stato.

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