Inaugurazione playground campo da basket in viale Sarca a Milano con Danilo Gallinari (foto LaPresse)

“La sorpresa siamo noi”. Parla Gallinari

Umberto Zapelloni

Dall’Nba ai Mondiali di basket in Cina, a Danilo manca una vittoria per rendere la sua carriera indimenticabile: “Sono troppo generoso e altruista, è ora di fare l’egoista. Adesso voglio vincere qualcosa”

La vita di Danilo Gallinari è praticamente perfetta. Osservandola dall’esterno non vedi nulla fuori posto, se non un taglio di capelli non proprio classico. Tutto parte dalla data di nascita, ovviamente perfetta: 8.8.88, un giorno che non può essere un caso e non poteva che diventare un numero di maglia.

  
Danilo è bravo, bello, buono e per giocare allo sport che ama, il basket, guadagna una barcata di soldi: è nell’anno finale di un contratto triennale da sessantacinque milioni di dollari. Ha una famiglia da Mulino Bianco con papà Vittorio che gli gestisce il business, mamma Marilisa che gli gestisce gli sponsor e un fratellino, Federico, che gioca, ma soprattutto studia, negli Stati Uniti.

 
Da qualche mese ha pure una fidanzata ufficiale, Eleonora Boi, che faceva e anche bene la giornalista a Mediaset. E lui che qualche anno fa era stato inserito tra i dieci scapoli d’oro di New York sta cominciando a pensare a una famiglia tutta sua.
Il suo sogno da uomo è una famiglia come la sua e una vita da dividere tra l’Italia e gli Stati Uniti, dove papà Vittorio investe nel mattone i milioni incassati dal figlio giocando in Nba.

 
Ma tutto questo non basta. Perché a Danilo manca qualcosa che non può comprare. Manca una vittoria da raccontare ai figli.
Non ha gli scudetti (e le coppe dei campioni) vinte da papà. Non ha sul comodino il modellino dell’Eurolega come il suo amico Gigi (Datome).

 

Illustrazione di Fernando Cobelo (tutti i diritti riservati)



   

La sua squadra in Nba, i Clippers, gli ha fatto la brutta sorpresa di inserirlo in uno scambio con Oklahoma

Non ha alle pareti della sua casa milanese le foto con il Larry O’Brien Trophy, l’anello di campione Nba in cassaforte e il trofeo come vincitore della gara da tre punti all’All Stars Game sulla libreria: tutte cose che il suo amico Marco (Belinelli) si tiene bene strette. Eppure Danilo è, a detta della maggior parte degli esperti, il giocatore italiano con più talento in circolazione. Gli manca una vittoria. Gli mancano un trofeo, una medaglia, una storia da poter raccontare come fa papà quando torna con la memoria alle campagne europee della sua Olimpia. Per questo oggi dice senza esitare: “L’anno prossimo, quando diventerò free agent privilegerò una squadra che possa lottare per arrivare in finale. Non sceglierò i soldi, ma la possibilità di giocare per vincere”. Poche settimane fa la sua squadra americana, i Los Angeles Clippers gli ha fatto la brutta sorpresa di inserirlo in uno scambio monstre con Oklahoma per arrivare a Kawhi Leonard. Spedito ai Thunder in ricostruzione, proprio dopo la sua miglior stagione in Nba. Tradito. Trattato come un numero. L’impressione è che a Oklahoma non resterà a lungo, ma intanto il trasferimento a tradimento gli brucia eccome, e non solo per il trasloco che dovrà fare da Los Angeles, una delle sue città preferite negli States. È anche per questo che oggi dice di ritenere “la generosità il mio miglior pregio come uomo, ma la troppa generosità il mio difetto”, e “l’altruismo il mio pregio come giocatore e il troppo altruismo come il mio difetto”. C’è un significato in queste due risposte che vanno a braccetto. Danilo si è stufato di vivere e giocare per gli altri. Ha deciso di pensare di più a se stesso. Un po’ di egoismo lo aiuterà a non farsi più trattare da numero (anche se si tratta sempre di un bel numero visto che l’ingaggio non cambia). E in campo magari qualche assist di meno produrrà qualche punto in più.

   

“L’esperienza in Nba mi ha insegnato a diventare un giocatore più egoista in campo, ma non ci sono ancora riuscito davvero”. Non è troppo tardi. Perché, a 31 anni da compiere (l’8 agosto) è arrivato il momento di esaudire il suo sogno: “Un titolo Nba e una medaglia con la Nazionale”. Aspettando di trovare una squadra per vincere in America (non possono esserlo i Thunder), ha una grande occasione azzurra ai Mondiali che scatteranno il 31 agosto in Cina. Filippine, Angola e soprattutto Serbia le avversarie della prima fase. L’antipasto da mangiare senza mandare nulla di traverso, sperando poi in incroci che non siano proibitivi per una squadra piena di talento ma povera di centimetri come la nostra.

    

  

All’azzurro deve uno dei suoi ricordi sportivi più belli. Perché per uno che ha giocato 549 partite in Nba con una media di 15,9 punti, il giorno più bello della sua carriera, dopo quello in cui venne scelto da New York nel 2008, rimane la medaglia di bronzo vinta agli Europei 2005 con la nazionale Under 18. Danilo ha fatto la pace con l’azzurro senza averci mai fatto davvero la guerra, anche se due anni fa la sua avventura finì prima di cominciare per un pugno maldestro al provocatore olandese Kok che gli costò la frattura della mano, e l’anno scorso non iniziò neppure per la sua rinuncia. “Non ci sono mai stati problemi e mai ci saranno – dice – Vestire la maglia azzurra è un orgoglio da quando l’ho fatto per la prima volta da bambino, a 14 anni. Quando indosso la maglia azzurra mi sento carico e cosciente dell’importanza di questo colore e del fatto che rappresentiamo milioni di persone. Giocare in Nazionale è sempre speciale, è diverso da quando indosso la maglia del mio club”.

  

Il 31 agosto inizia la Coppa del Mondo. “Non so dove arriveremo, ma l’Italia può essere la rivelazione del torneo”

In Nba ne ha cambiati tre in 11 stagioni: New York Knicks, Denver Nuggets, Los Angeles Clippers, aspettando (senza gioia) di cominciare con gli Oklahoma Thunder. Ha un carrier high di 47 punti con Denver contro Dallas nel 2015, ma solo 18 partite di playoff. Pochi match in cui scorreva davvero il sangue, poche partite senza domani. E, infatti, in quella che in azzurro resta la partita più importante della sua vita, la finale del torneo preolimpico a Torino contro la Croazia, non ha lasciato un segno indelebile, anzi resta il ricordo di un fragoroso (e costoso) fallimento. Resta forse la delusione più grande della sua generazione di fenomeni. Qualcosa che oggi Danilo e soci vogliono cancellare. “Quando tifosi ed esperti pensano ai big del Mondiale in Cina nessuno punta su di noi. Non so dove arriveremo, ma l’Italia può essere la rivelazione di questo torneo. Il sogno è di arrivare a una medaglia, di qualificarci finalmente per le Olimpiadi. Io so solo che Sacchetti è sempre andato oltre le aspettative sue e delle sue squadre. Noi dobbiamo solo crederci”. E stare bene, aggiungiamo noi. Perché troppo spesso negli ultimi anni, Azzurra ha trovato sulla sua strada dei malefici infortuni. Quando deve raccontare che cosa gli ha insegnato il basket, Danilo non ha dubbi: “Mi ha aiutato a capire che cosa significa davvero lo spirito di sacrificio e come relazionarmi con gli altri inseguendo una meta comune”.
 
   
Il basket gli ha dato ricchezza, popolarità, divertimento, amicizie, ma quando guarda al suo futuro lo vede senza pallacanestro. Non ha in mente di diventare allenatore o dirigente. Ha in testa una vita più business oriented da dividere tra Milano, dove ha comprato casa, e gli Stati Uniti. Una volta che li hai conosciuti, gli States li ami o li odi. Lui sembra davvero amarli. Quello che odia, ma forse la parola è un po’ troppo forte, sono i social. Anche se non si direbbe per uno che ha oltre 715.800 follower su Twitter e oltre 345 mila su Instagram. “I social proprio non li frequento. Ho chi li gestisce per me, ma io proprio ne posso fare a meno. Non mi interessano”. Ai social, Danilo ha sempre preferito i campetti da basket. Da anni è impegnato a finanziare quelli di Milano, a prestare la sua immagine perché i ragazzi possano giocare all’aria aperta su campi decenti, con canestri veri, con le retine al loro posto. “Non dimenticherà mai il campetto dell’oratorio di Graffignana, dove sono cresciuto e ho fatto le prime sfide sotto canestro”.
 
Papà e mamma gli hanno trasmesso la passione, lui l’ha coltivata in quel paesino da 2.500 anime dalle parti di Lodi. Danilo Gallinari from Graffignana, Italy. Quando può ricorda sempre da dove arriva. “I soldi aiutano ma le cose importanti sono altre. Puoi guadagnare anche 100 milioni, ma se poi quando smetti di giocare ti sei creato il vuoto intorno e non hai fatto nulla per farti apprezzare, è tutto inutile”, ha scritto nella sua autobiografia qualche anno fa. E non c’è stagione che non segua questo modello. La generosità in fin dei conti è il suo pregio. La troppa generosità il suo difetto. Pupo, che una volta fece una polemica sul conto di un pranzo diviso alla romana negli States, avrebbe qualcosa da ridire. Ma ormai è una vecchia storia. E la vita di Danilo, ben indirizzata da mamma e papà, sembra proprio andare in un’altra direzione: una delle sue ultime uscite pubbliche nazionali l’ha fatta al reparto oncologico dell’ospedale Humanitas a Rozzano. Una cosa che fa anche in America. Pensando agli altri.

   

Il Mondiale cinese sarà il suo primo Mondiale. Sembra assurdo, ma dei nostri grandi solo Belinelli ha già assaggiato la World Cup (e negli Usa se lo ricordano ancora). Per questo l’occasione per lasciare il segno è davvero ghiotta. “La chimica tra di noi c’è perché giochiamo insieme da tanto tempo. Dobbiamo solo essere consapevoli della nostra forza perché sono sicuro che possiamo davvero fare bene”. Se lo augura tutto il basket italiano. Perché sarebbe ora che i nostri principi azzurri ci regalassero qualcosa da raccontare. Esattamente 20 anni dopo l’impresa di Parigi e quell’oro europeo che ci portò a Sydney.

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