Addio a Niki Lauda, imprendibile dentro e fuori la pista

E' morto lunedì a 70 il pilota austriaco della Ferrari, tre volte campione del mondo

Fabio Tavelli

Niki Lauda è morto lunedì, in una clinica svizzera, a 70 anni. "Con profondo dolore annunciamo che il nostro amato Niki è morto pacificamente circondato dalla sua famiglia. I suoi successi unici come sportivo e imprenditore sono e rimarranno indimenticabili", hanno comunicato i familiari.

  


 

Nel messaggio che il Commendatore gli mandò, dopo che Niki si era complimentato per il titolo vinto dalla Ferrari di Jody Scheckter nel ’79, c’è tutto il nervo scoperto verso quell’austriaco tanto bravo in pista quando ingovernabile fuori. “Caro Niki, grazie del tuo telex che mi ha suggerito una amara riflessione: se Lauda avesse ritenuto di restare alla Ferrari potrebbe aver già eguagliato il record di Fangio”. Non poteva essergli andato davvero giù l’epilogo del ’77. Niki vinse il Mondiale con due gare di anticipo e come una diva degli anni che furono annunciò di avere già firmato per la Brabham Alfa Romeo e che nelle ultime due la Rossa si sarebbe dovuta trovare qualcun altro. Tradimento, oltraggio. 

   

Il grande libro di storia racconta che a prendere il posto di questo altezzoso austriaco dai modi così poco asburgici sarebbe stata una delle più grandi e sfortunate intuizioni del genio modenese: Gilles Villeneuve. Il Drake pensava davvero che Lauda avrebbe potuto arrivare alla cinquina del “Chueco” se fosse rimasto in rosso e magari se nel ’76 sotto il diluvio al Fuji nel duello con Hunt avesse evitato di fare come Duran contro Leonard quando disse “no mas”. Mai più Niki lo ha detto invece più di una volta e Ferrari dovette ingoiare anche il Mondiale dell’84 portato a casa con uno zero virgola di vantaggio su Prost guidando una McLaren spinta dal motorone della Porsche. Quel mezzo punticino Alain avrebbe potuto incassarlo se non avesse chiesto a Jackie Icks, allora direttore di corsa, di interrompere il GP di Montecarlo quando il francese era in testa e il diluvio universale che si era riversato sul Principato non aveva impedito ad una Toleman guidata da tal Ayrton Senna di prendergli la scia e di metterlo nel mirino.

 

Lauda era stato suggerito alla Ferrari da Clay Regazzoni, che ne aveva apprezzato il manico guidando con lui la BRM nel ’73. Certamente al Fondatore dovette apparire quantomeno sfrontato quando in uno dei primi briefing il suo neo assunto a precisa domanda su come trovasse la nuova Ferrari non esitò a definirla “una merda, sottosterza e non riesci a inserirla in curva”. Il Drake non parlava bene inglese e nessuno degli astanti ebbe il coraggio di tradurre fedelmente il greve pensiero del pilota. Ma non serviva capire alla lettera, bastava il linguaggio del corpo e il Saggio, dopo essersi assicurato da quel genio dell’ingegner Forghieri che il sottosterzo fosse in grado di correggerlo, lo invitò cordialmente a girare mezzo secondo più veloce se non voleva fare la fine di Paperino al deposito di Zio Paperone.

      

 

La famiglia che mise al mondo Andreas Nicolas detto Niki apparteneva alla ricca finanza viennese del 1949. “Devono parlare di te i quotidiani economici, non quelli sportivi”, gli aveva detto puntandogli il dito il nonno paterno dopo che il ragazzino aveva portato a casa un diploma di scuola superiore. Falso. Di soldi dalla sua famiglia non ne ebbe mai in via ufficiale. Era però la nonna, di nascosto, ad allungargli gli scellini necessari per avviare la sua carriera da pilota. I Lauda vivevano in un castello e quando Niki aveva bisogno di denaro, accadeva spesso, convocava i finanziatori a casa. Visto lo sfarzo nel quale si muoveva nessuno dubitava che il prestito sarebbe stato onorato. Invece il ragazzo bluffava come nemmeno il Conte Lello Mascetti e tra una supercazzola prematurata e l’altra aveva convinto banche rivali di quella del padre e involontari mecenati a dargli il credito che gli serviva per – parole sue – “appoggiare il culo su un sedile”.

    

 

Nel ’76 gli avevano già dato l’estrema unzione dopo che Arturo Merzario lo aveva miracolosamente tirato fuori da quella scocca incendiata al Nurburgring bollente come un forno. Merzario gli fece anche la respirazione bocca a bocca e raccontò che a salvare Niki fu il suo svenimento. Questo consentì di slacciargli le cinture, operazione impossibile finché il pilota, comprensibilmente, si contorceva per lo spasimo. Dopo aver rischiato la vita per salvarlo, Arturo pensava che almeno un “grazie” forse avrebbe potuto riceverlo. Niente. Lauda ci mise 30 anni (!) per capire che magari quel tizio italiano un po’ eccentrico una pacca sulla spalla almeno la meritava. Avrebbe potuto fare come Anakin Skywalker e mettersi una maschera per diventare Darth Fener. Non lo fece, usò solo un cappellino, sempre sponsorizzato, senza timore di esibire le scottature che gli avevano deturpato il volto e mozzato un orecchio. Negli ultimi anni, come spesso fanno i vecchietti di carattere, gironzolava nel paddock in jeans dispensando commenti trancianti, nonostante la carica di presidente non esecutivo della Mercedes imponesse forse uno standing più sobrio. Prima di un Gp di Ungheria disse che “gli altri dovrebbero fare le auto più veloci invece di lamentarsi. Come può essere colpa della Mercedes quando quelli della Ferrari preferiscono buttare gli spaghetti invece di migliorare le loro auto in pista?”. Non la toccava mai piano, Niki, così come non andava mai piano in pista.

  

 

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