Foto tratta dalla pagina Facebook Giorgio Cekky Cecchinel Fans Club

gli immacolati

Non vincente, ma mai vinto. Il ciclismo di Giorgio Cecchinel

Marco Pastonesi

Tre anni da professionista, un Giro d'Italia corso, zero vittorie: "Andavo a pane e acqua, perché nonostante sia nato in zona Pinot e Prosecco, il vino non mi è mai piaciuto"

Gli piaceva l’aria e il vento. Gli piaceva sognare e tentare. Gli piaceva scattare e scappare. Gli piaceva attaccare. Fughe, tante, tantissime, ma in due anni e mezzo di professionismo mai una fuga per la vittoria. Del cecchino, oltre al cognome Cecchinel aveva lo spirito, non la mira.

 

Eppure Giorgio Cecchinel, da Vittorio Veneto, classe 1989, ci è andato vicino. L’ottavo posto in una tappa della Vuelta a Burgos, in Spagna, nel 2015: “Lasciato a casa dal Giro d’Italia, mi ero allenato in altura, a Livigno, e andavo forte. Arrivo in salita, la feci con il mio ritmo, piano piano li recuperai tutti, quasi tutti. Se l’avessi presa in testa, chissà”. Il nono posto in una tappa del Qinghai Lake, in Cina, nel 2015: “Il giorno prima ero stato in fuga, da solo, per 40 chilometri, ed ero stato ripreso a un chilometro dal traguardo. Il giorno dopo ci riprovai, ma nel finale ero troppo stanco. Se mi fossi concentrato su una sola delle due tappe, chissà. La verità è che ero indeciso se puntare alla classifica o alle tappe, e così non combinai nulla né di qua né di là”. Il secondo posto nella classifica dei gran premi della montagna al Tour du Limousin, in Francia, nel 2015: “Entrato in una fuga da lontano, avevo racimolato punti dei gpm. Provai a tenere, finché mollai per obbedire a ordini di scuderia. Se non mi fossi dovuto dedicare a Mauro Finetto, che poi conquistò la classifica finale, chissà”. C’è anche il sesto posto nella cronosquadre al Giro del Trentino, nel 2015: “Ma quella, e si sa, è quasi un altro sport”.

 

Cecchinel fa un po’ cilecca anche con la memoria: “Cominciai da giovanissimo secondo anno. La prima corsa, non me la ricordo. La prima vittoria, neanche. Ma fu da giovanissimo sesto anno”. Cecchinel fu cecchino al Giro della Lunigiana, primo nella massima corsa a tappe per juniores: “Così che poi, da dilettante, girai le migliori squadre: Zalf, Mastromarco, Delio Gallina… Da professionista un po’ meno: Neri, Southeast, Androni…”. Cecchinel è onesto: “Non ero un vincente, ma non mi davo mai per vinto. E andavo a pane e acqua, perché nonostante sia nato in zona Pinot e Prosecco, il vino non mi è mai piaciuto. Però il mio idolo era Marzio Bruseghin: lui sì che andava a pane e vino. Un giorno, finalmente, l’ho conosciuto, ci siamo anche allenati insieme, lui mi spiegava, io eseguivo”. Spesso sul San Boldo, la strada dei cento giorni: “Su e giù, ogni giorno, a fine allenamento. La casa di famiglia è l’ultima ai piedi della salita”. Insomma, viva la fuga: “Per andarci, bisogna avere occhio, convinzione e gambe. Occhio per individuare la fuga buona: non ci si può spremere per tentarne due o tre, ogni tentativo ti taglia le gambe. Convinzione per crederci anche quando il gruppo ti tiene a vista, a tiro, a bagnomaria. E gambe per arrivare fino in fondo. Sapendo che nel 99 per cento dei casi la fuga non andrà in porto perché solo nel 1 per cento dei casi il gruppo si addormenta”.

 

A metà del terzo anno, “Cekky” decise di smettere: “Mio padre si era ammalato, la mia ragazza aspettava un bambino. Dopo tanto tempo passato in giro per il mondo, era giunto il momento di tornare a casa e in famiglia, abbandonare i privilegi del corridore professionista e accettare le responsabilità dell’operaio in una industria metalmeccanica. All’inizio fu dura, tant’è vero che mi allontanai dalla bicicletta e dal ciclismo, non volevo vedere le corse neppure in tv. Mi dicevo: loro sono là e io sono qua. Invece adesso amarezza e nostalgia sono passate, e mi sta tornando la passione. Seguo il Giro, esco in bici, e anche se mi stanco dopo 50 chilometri, ritrovo il piacere di stare all’aria e al vento, guardarmi intorno tra panorami e paesaggi, sfidare me stesso su uno strappettino o sprintare da solo a un cartellone. Che è il bello – credo – della bici”.

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