Come è lenta la serie A
Si pareggia di più, si corre poco o a vuoto. Juve a parte, spesso è la paura di perdere a vincere. Numeri
Meglio due feriti che un morto. Non è una bella frase. E’ poco elegante ed è anche piuttosto ambigua. L’ultimo a utilizzarla, creando naturalmente un certo scalpore, fu Gigi Buffon, qualche anno fa. Voleva difendere il suo allenatore di allora, Antonio Conte, dalle accuse di coinvolgimento in una brutta vicenda di presunte combine. Intendeva, a leggerla bene, che in campo può capitare, a un certo punto, talvolta addirittura fin dall’inizio, che il pareggio possa essere una soluzione accettabile da entrambe le squadre. Così va il calcio. Scandalizzarsi è ipocrita, sostiene la maggioranza degli addetti ai lavori. Così è sempre andato. Ancora più quando la vittoria valeva due punti, anziché i tre di oggi. Trent’anni fa, per dire, il segno X era un tranquillante in schedina, soprattutto nelle doppie: nel campionato 1988-’89 finì pari il 37,6 per cento delle partite. Oggi qualcosa è cambiato, anzi molto. Ma quest’anno, improvvisamente, si è invertita la rotta.
Spulciando fra i numeri, scavallati i due terzi della serie A attuale, ci si accorge che il pareggio per molte squadre è tornato a essere, chissà quanto volontariamente, un bene rifugio. Dopo 26 giornate se ne sono già registrati 76. Per capire le dimensioni del fenomeno, in tutto il campionato scorso ce ne furono 83 e nel 2016-’17 soltanto 80. Questo significa che quest’anno finora si conclude senza vincitori il 29,3 per cento delle partite, rispetto a una media oscillante fra il 21 e il 22 per cento delle ultime stagioni. Dando un’occhiata a quanto accade nel resto d’Europa, che non fa mai male, si scopre che, nei paesi calcisticamente avanzati, soltanto in Spagna si pareggia di più: il 30 per cento degli incontri, anche in Liga con un clamoroso aumento rispetto agli ultimi anni. In Premier League siamo soltanto al 19,3 dei match, in Bundesliga al 25 e in Ligue 1 al 27,9.
Una delle ragioni possibili, fermandoci ad analizzare quanto avviene in Italia, può essere ricercata nel maggiore equilibrio, Juventus esclusa ovviamente, nelle diverse zone calde della classifica: lotta per trovare un posto in Europa e lotta per scongiurare la retrocessione. Ma anche in un maggiore equilibrio generale: le presunte rivali della Juventus stanno facendo peggio – tutte tranne il Milan – che nel recente passato, mentre le squadre medio-piccole appaiono in crescita. Accertato che è mediamente più difficile venire a capo degli avversari, ci si aspetterebbe di conseguenza un calo consistente nel numero di gol. In effetti, una diminuzione c’è stata, ma non rilevantissima. La media gol è al momento di 2,65 a partita, rispetto ai circa 2,8 delle ultime stagioni e resta superiore alla media gol della Liga, in ulteriore netto calo dopo l’addio di CR7, e ora ferma a 2,51. Ancor meno si segna in Francia: 2,48. Mentre in questa stagione si assiste, rispetto al passato, a un boom di gol in Inghilterra (media 2,81) e soprattutto in Germania (media 3,08).
Difficile sostenere che in Italia sia stia tornando (finalmente) a difendere meglio, anche perché l’ultima moda, apprezzabile, di provare sempre a costruire le azioni da dietro ha inevitabilmente aumentato il numero di reti causate dalle palle perse in uscita nella propria metà campo. L’impressione è che ci sia un po’ più di paura a premere sull’acceleratore lungo tutto l’arco della partita, salvo cambiare marcia se le cose si mettono male. Non diminuisce, anzi in percentuale cresce, il numero delle reti realizzate nelle fasi finali e in particolare nei minuti di recupero (che sono peraltro sempre di più causa Var).
Sono aumentate le rimonte, anche perché chi va in vantaggio non sempre s’impegna abbastanza nel provare a chiudere la partita. Si continua a giocare con poca intensità, con il freno a mano tirato. La Juventus in questo senso fa scuola. Impressiona che, nonostante abbia con il Psg il vantaggio più ampio sulle inseguitrici e in assoluto il maggiore numero di punti conquistati, sia la capolista europea con il minore numero di gol segnati e di vittorie conseguite con tre o più gol di scarto: soltanto 4, rispetto alle 10 del Paris St. Germain, alle 9 del Manchester City e alle 6 di Barcellona e Bayern Monaco.
L’anomala crescita dei pareggi – naturalmente nel calcio c’è sempre un tasso di casualità che va verificato con il tempo – non riporta insomma automaticamente la serie A alle origini del gioco all’italiana. Anzi, si cerca più di prima, lo fanno anche le squadre meno dotate, di adottare tattiche non esclusivamente difensive. Ma sempre a ritmi troppo lenti. Non si riesce ancora a coniugare velocità e precisione. E forse non è un caso che in testa alla classifica del maggior numero di chilometri percorsi mediamente in partita ci siano due squadre agli ultimi posti della classifica generale: Chievo e Bologna. Chi corre, non solo corre piano, ma spesso corre a vuoto.
C’è infine un’ultima statistica interessante e utile a svuotare certi luoghi comuni troppo frequentati. Sapete quali sono le squadre che hanno impiegato il maggior numero di giocatori? Frosinone (31), Chievo (30), Cagliari e Genoa (29), Empoli e Parma (28), Sassuolo, Udinese e Bologna (27). Le prime dieci in classifica in questa graduatoria sono agli ultimi dieci posti. Altro che necessità di rose lunghe.
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