foto LaPresse

Fate giocare Kean sempre di più

Gianfranco Teotino

Tra Nazionale e Juventus, l’attaccante ha giocato otto volte da titolare, il suo coetaneo Sancho in Bundesliga ventisette. Breve indagine sul nonnismo della serie A

Ha segnato, in questa stagione, con la maglia della Juventus, un gol ogni 58 minuti giocati. Per dire, il capocannoniere Quagliarella, con la Samp, ne ha segnati uno ogni 123 minuti, il fenomeno Piatek, fra Genoa e Milan, uno ogni 96, Cristiano Ronaldo, e chiediamo scusa per il raffronto, uno ogni 125. Eppure, di lui si è cominciato a parlare con insistenza negli ultimi giorni più perché vittima di un razzismo da stadio mai combattuto veramente e perciò mai vinto, che perché giocatore di mezzi eccezionali e destinato a una carriera di primissimo piano. Moise Kean è italiano, ha la pelle nera e un grande talento: tre doti, Balotelli lo sa bene, mal combinate in un paese che partirebbe favorito ai campionati del mondo dell’invidia e che deve fare quotidianamente i conti con forme di razzismo vuoi esplicite vuoi striscianti e comunque sempre accompagnate da tentativi di trovarne attenuanti generiche nobili, per quanto in realtà ignobili. Non c’è bisogno di spiegare che i dati, clamorosi, della media gol sono molto condizionati dalla differenza di presenze in campo. Ma non è certo colpa sua se Kean gioca poco. Aggiungendo le partite in maglia azzurra, nella stagione in corso ha avuto la possibilità di essere schierato dal primo minuto soltanto otto volte in tutto: tre con la Under 21, due con la Nazionale maggiore e, con la Juventus, due in campionato e una in Coppa Italia.

 

 

Ebbene, a eccezione della prima uscita in Under 21, ha sempre segnato: in totale otto gol in otto incontri disputati da titolare. Più uno realizzato da subentrante. Numeri da predestinato. Ma anche da giocatore già fatto.

  

L’inglese non trovava spazio al City ed è andato al Borussia. Kean ha aspettato gli infortuni dei compagni per giocare

Inseriamo nella categoria “giovani” Spinazzola che ha 26 anni e riteniamo esperto Emre Can che ha un anno di meno

Kean, questo ormai lo sanno tutti, è un ragazzo del 2000, nato a Vercelli, da genitori di origini ivoriane, cresciuto ad Alba e approdato nel settore giovanile della Juventus quando aveva 10 anni. Si è messo in luce nelle Nazionali giovanili, specialmente nella Under 19 che trascinò sino alla finale dei campionati europei. Come lui, è stato lanciato dalle Nazionali giovanili, in questo caso la Under 17, pure il ragazzo del 2000 più interessante del calcio inglese: Jadon Sancho, nato a Londra, da genitori originari di Trinidad, che ha cominciato nel Watford ed è stato preso dal Manchester City quando aveva 15 anni. A volere essere pignoli, Sancho è più giovane di Kean: è nato il 25 marzo rispetto al 28 febbraio dell’azzurro. Ma il giovane inglese di partite da titolare in questa stagione ne ha disputate finora già 27: 20 in Bundesliga, 5 in Champions League e 2 in Nazionale. Rispetto alle 8 di Kean, delle quali soltanto 3 con la Juventus. Considerati i subentri, il divario fra i minuti giocati con i rispettivi club è ancora più impressionante: 2.401 Sancho, 293 Kean. Inutile paragonare i gol realizzati, perché l’inglese è un’ala velocissima e molto tecnica, più assist man che potenziale centravanti vero, come l’italiano.

 

 

Fino a un anno e mezzo fa, Sancho aveva lo stesso problema di Kean: era così bravo che era stato scelto da una grandissima squadra già ricca di suo di grandissimi campioni; nel Manchester City non giocava mai, come Moise nella Juventus. Che poi: è un vero problema? Per Allegri, e la stragrande maggioranza dei tecnici italiani, no. Loro ritengono che si matura meglio allenandosi quotidianamente con i giocatori forti e soffrendo, in panchina o in tribuna, durante le partite vere. Solo così, secondo questa tipologia di allenatori, sostanzialmente nonnisti, si capisce se un giovane ha la tempra per passare la selezione naturale: deve carpire i segreti dei grandi nel chiuso dei centri sportivi e aspettare pazientemente il suo momento. Lezione considerata ancora migliore: dover entrare all’improvviso, fare il massimo, se attaccante preferibilmente segnando uno o più gol ed essere ricacciato subito in panchina, anche se magari mancano contemporaneamente CR7 e Dybala, così impara. Altri tecnici, diciamo una discreta maggioranza di quelli non italiani, ritengono che per crescere davvero bisogna disputare il maggior numero possibile di partite vere, per capire come si affrontano avversari avvelenati, come districarsi nelle più diverse situazioni di gioco, perché solo l’esperienza ti aiuta a scegliere la soluzione giusta quando, per esempio, sei un attaccante e il portiere avversario ti esce incontro senza freni, al contrario del tuo sparring partner in allenamento che non ti travolgerà mai. C’è infine una parte di tecnici, sicuramente una minoranza, evidentemente montessoriani impenitenti, che ritiene addirittura che il campo non sia un penitenziario o una caserma e che perciò un calciatore possa migliorare di più se si diverte e per divertirsi non c’è altro modo che giocare davvero e con continuità.

 

Resta il fatto che Sancho, o chi ne gestisce la carriera, nell’estate 2017 pensò che per lui era meglio cominciare subito a misurarsi giocando, in una squadra forte, anche se magari non tanto forte come il Manchester City, e accettò l’idea di trasferirsi in Germania al Borussia Dortmund. E’ diventato, ovviamente, titolare in poche settimane e ha modificato niente meno che lo status della sua squadra, ora al comando in Bundesliga e attesa proprio in questo weekend allo scontro diretto decisivo con il Bayern Monaco. Oggi, Jadon Sancho secondo il portale specializzato Transfermarkt ha un valore di mercato di 80 milioni (che diventano 148 in una recentissima stima del Cies di Neuchatel), mentre quello di Kean è fermo a 15 milioni (per chi fosse interessato il suo contratto scade a giugno 2020). Eppure, non sta scritto da nessuna parte che Sancho sia in assoluto più forte di Kean, che ha già mostrato di avere tecnica, intelligenza, velocità e fiuto del gol fuori dal comune.

 

La verità è che la nostra percezione in materia di maturazione di calciatori è clamorosamente distorta. Tanto da portarci a considerare in maniera differente l’età dei giocatori a seconda della loro nazionalità. Cioè: inseriamo nella categoria “giovani”, in quanto italiano, uno come Spinazzola che ha 26 anni compiuti e riteniamo invece esperto uno come Emre Can che ha un anno di meno. Ma se vogliamo lasciare perdere Spinazzola, ritardato nel suo sviluppo anche da alcuni incidenti seri, è ancora più interessante il confronto fra Emre Can e Bernardeschi, altro giovane promettente a vita, ma che ha solo un mese meno del suo compagno di squadra tedesco. Ebbene, nonostante l’età praticamente uguale, Can ha giocato finora ad alto livello più del doppio dei minuti concessi all’italiano: in campionato (fra Bundesliga, Premier League e serie A) 12.782’ contro 6.666’; in Champions League 1.343’ contro 518’; in Europa League 1.393’ contro 1.045’; nelle Coppe nazionali 2.743’ contro 564’. In totale 18.261’ Can, 8.793’ Bernardeschi. Numeri abbastanza impressionanti.

 

In questo contesto, nonostante il meritevole aiuto di Mancini che l’ha messo subito in campo, quasi più lui che Allegri, per Kean diventare davvero grande, grande calciatore, sarà molto più complicato che resistere, con una maturità che ha già mostrato di avere, alle provocazioni razziste che purtroppo, come accadde a Balotelli, cresceranno in una reazione a catena che conosciamo bene e pure alle sciocchezze dei Giulini e dei Bonucci di turno, iscritti d’ufficio alla categoria di quelli che “figuriamoci se sono omofobo io, che ho anche amici gay”.

 

Salvate il soldato Kean, se potete.

Di più su questi argomenti: