Il tecnico del Milan, Rino Gattuso (foto LaPresse)

Determinazione e umiltà, così Gattuso ha rialzato il Milan

Leo Lombardi

Il tecnico rossonero ha saputo essere da allenatore ciò che era stato da giocatore, uno che si risollevava, sempre più rafforzato, ogni volta che lo buttavano a terra

Ci aveva provato Silvio Berlusconi nel 2009, affidando inaspettatamente a Leonardo il lavoro di Carlo Ancelotti, partito in direzione Chelsea: annata altalenante, ma almeno un terzo posto finale e la panchina conservata per un campionato intero. Peggio, decisamente peggio, era andata con le scelte successive, dalla meteora Clarence Seedorf, chiamato in sostituzione dell'esonerato Massimiliano Allegri nel 2014, al decimo posto di Filippo Inzaghi, per poi concludere con Christian Brocchi, capace di fare peggio di Sinisa Mihajlovic, licenziato a poche giornate dalla fine nel 2016. L'idea di consegnare la panchina del Milan a un ex rossonero, uno di quelli del grande ciclo berlusconiano, si era sempre risolta in un fallimento. Tranne funzionare con quello più inaspettato. Perché Rino Gattuso si era presentato ai nastri di partenza della stagione 2017-18 con qualche esperienza controversa alle spalle: un esonero a Palermo (ma con Maurizio Zamparini diventa medaglia al merito), le dimissioni all'Ofi Creta in Grecia, la promozione in B e l'immediata retrocessione con un Pisa alle prese con una seria crisi di liquidità.

 

Certo, al Milan era tornato dall'ingresso di servizio, come allenatore della Primavera. Ma più di un sopracciglio si era inarcato al momento della chiamata in prima squadra a fine novembre, al posto di un Vincenzo Montella messo cortesemente alla porta. Eppure Gattuso ha saputo essere da allenatore ciò che era stato da giocatore, uno che si rialzava sempre più rafforzato ogni volta che lo buttavano a terra. È sopravvissuto a un esordio scioccante, con il pareggio a Benevento arrivato nel recupero per mano di un portiere, quell'Alberto Brignoli capace di fissare il 2-2 di testa. È sopravvissuto a una delle gestioni più borderline nella storia del Milan, quella del misterioso Li Yonghong e dei suoi presunti capitali cinesi. È sopravvissuto ai mille spifferi che si propagavano a ogni risultati negativo, portando con sé i nomi di eventuali sostituti: in testa il sempre spendibile Antonio Conte.

 

Gattuso è stato più forte di tutto questo, facendo leva sulla propria determinazione e sulla propria umiltà. Quella che aveva da centrocampista che correva e vinceva, in Italia e in Europa con il Milan, nel mondo con l'Italia. Quella che ha mantenuto da allenatore, perché è uno che non se non la tira, è uno che non ha inventato il calcio, è uno sempre disposto a imparare e a confrontarsi. Il diretto erede di Ancelotti, con qualche anno di ritardo per la causa rossonera. Il Milan attuale sembra figlio di quel ciclo, con una tara doverosa per quanto riguarda il tasso tecnico. Ma con Gattuso la squadra rossonera ha ritrovato un'identità che si era sgretolata nel corso degli anni, fondata su quella capacità di essere gruppo in cui siano chiari gli obiettivi e il modo in cui ottenerli. E in cui il senso di appartenenza sia al di sopra di tutto. Lo si è visto al mercato estivo e a quello di gennaio, quando si sono congedati in tutta fretta gli acquisti da urlo pochi mesi prima. Ovvero Leonardo Bonucci e Gonzalo Higuain, pronti a salutare per andare a inseguire altrove i personali sogni di gloria.

 

Due assenze che Gattuso e il gruppo hanno metabolizzato al meglio, come sono stati metabolizzati gravi infortuni (vedi Andrea Conti e Giacomo Bonaventura). La bravura del tecnico è stata quella di trovare soluzioni anche estemporanee, ma sempre adeguate, e di offrire una possibilità a tutti (tranne a Riccardo Montolivo, e questo resta l'unico mistero). Perché, per fare un esempio, lui ha creduto in Hakan Calhanoglu, dandogli fiducia quando tutti lo criticavano, restandone ripagato. Ha poi fatto compiere il definitivo salto di qualità ad Alessio Romagnoli, responsabilizzandolo con la fascia da capitano. Ha difeso Gigio Donnarumma, recuperandolo dagli errori e riconsegnandogli la tranquillità perduta per l'eccesso di attivismo di Mino Raiola. Infine, al mercato di gennaio, non ha battuto ciglio quando sono arrivati Krzyztof Piatek (eccezionale sì al Genoa, ma tutto da verificare al Milan) e Lucas Paquetà, talento da far ambientare in fretta al clima italiano.

 

Gattuso ha accolto, ha lavorato, ha ottenuto risultati. Nel girone di ritorno il Milan è l'unica squadra che ha saputo tenere il passo della Juventus, 17 punti contro 19. C'è stata l'amarezza della Supercoppa italiana persa a Gedda contro i bianconeri, ma da sabato i rossoneri sono saliti al terzo posto (non accadeva da oltre due anni), recuperando 9 punti all'Inter e sorpassandola con sommo godimento. Merito di Gattuso che, non dimentichiamolo, ha comunque trovato due spalle decisive in Paolo Maldini e Leonardo, monumenti del passato richiamati in società dal nuovo proprietario Elliott. Un trio che costantemente spiega ai giocatori che cosa sia stato il Milan e che cosa significhi vestire la maglia rossonera. Un aiuto non da poco.

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