Mauro Icardi (foto LaPresse)

L'intelligenza artificiale e quella di Icardi

Jack O'Malley

Il manager robot che schiera la squadra, Ranieri che non ci riusciva più. Per una volta viva la Liga 

Ho deciso che mi prenderò la sbronza più colossale della mia vita se il Wingate & Finchley Football Club si salverà a fine stagione. Non sto parlando di Premier League, ma della Isthmian League (una specie di equivalente della vostra Prima categoria, ma molto più bella). La squadra del nord di Londra ha deciso di affidarsi all’intelligenza artificiale per provare a salvarsi dalla retrocessione. Un sistema progettato da Amazon registra dati su tutto (allenamenti, disposizione in campo durante le partite, livello di forma dei giocatori) e poi dà consigli sulla disposizione in campo e i cambi da effettuare durante il match. L’esordio di AI Coach, lo scorso 9 febbraio, ha portato a un brillante 1-1 casalingo contro l’ultima in classifica, roba grossa insomma. Da quelle parti sono però convinti che con il passare del tempo i suggerimenti del coso artificiale piazzato a bordocampo porteranno molti benefici al team (ha suggerito lui di schierare la squadra con il 4-3-3).

 

Il manager (ovviamente ad interim) Dave Norman si è detto soddisfatto dell’esperimento, ricordandomi quell’amico felice del fatto che la sua fidanzata uscisse con un altro ragazzo e tornasse a casa finalmente sorridente. Quando l’intelligenza artificiale avrà sostituito gli allenatori avremo certamente meno urla di Spalletti nelle interviste post partita, ma saremo anche pronti all’eutanasia del calcio. E voi ancora fate polemiche sulle donne che parlano di tattica. Non so se l’intelligenza artificiale avrebbe costretto Icardi a giocare – e pure bene – so che basterebbe un’intelligenza media per evitargli di fare e soprattutto postare tre quarti delle vaccate che sta postando.

 

Non so nemmeno se AI Coach avrebbe fatto meglio di Ranieri al Fulham, esonerato dopo pochi mesi. Paradossalmente vittima del successo ottenuto tre anni fa con il Leicester, Ranieri si trascina da una squadra all’altra con il marchio di uomo dei miracoli, con conseguente inevitabile caduta. Dispiace dovere andare in Spagna per citare esempi virtuosi, ma persino io qualche volta cedo al fascino oscuro del fair play (ho anche altre debolezze: ogni tanto bevo acqua, quando mi lavo i denti). Da qualche mese i tifosi spagnoli sono in protesta contro la partita del lunedì sera – qui da noi ormai quasi un’istituzione. Come successo in Germania, anche la Liga dall’anno prossimo non avrà più lo strascico mesto del primo giorno della settimana. Li capisco: già lo spettacolo è mediocre, doverlo trascinare per giorni sarebbe un supplizio per tutti. Bene però che per una volta siano stati ascoltati i tifosi: non dappertutto vengono manganellati senza motivo, o viene loro impedito di andare allo stadio con regole astruse come quelle previste per Napoli-Juventus, per cui si possono comprare i biglietti per il settore ospiti solo se in possesso della tessera del tifoso della Juve, mentre per il resto dello stadio solo se residenti in Campania (dove non esistono tifosi bianconeri, no?). Tutti mescolati sugli spalti, dunque. Speriamo non ci siano mai quelle atroci pause per il Var, almeno, durante le quali potrebbero partire meravigliose risse in stile Old America. In attesa dello smartwatch su cui gli arbitri potranno vedere subito i casi da moviola. Ed espellere via app le intelligenze artificiali che si lamentano a bordo campo.

 

[Questo articolo è stato pubblicato nel Foglio Sportivo in edicola sabato 2 e domenica 3 marzo
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