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Una squadra che è un cognome e un nome: Giana Erminio

Leo Lombardi

Erminio Giana era un sottotenente del quarto Reggimento del Battaglione alpino Aosta morto nel 1916 sul monte Zugna. Perché il club di Gorgonzola porta le sue generalità 

Nella Milano che guarda (meglio: guardava) all'Europa, c'è una realtà di serie C da neanche 500 spettatori di media a partita. Sono quelli che trovano parecchio spazio sugli spalti dello stadio Comunale di Gorgonzola, costruito accanto al Naviglio della Martesana, a una trentina di chilometri da San Siro. Qui gioca la Giana Erminio, un club che rappresenta una doppia unicità nel calcio professionistico: in quello milanese, perché è l'unica società non dilettante della provincia, oltre a Inter e Milan; in quello nazionale, perché è l'unica squadra ad avere come denominazione un antroponimo, ovvero un nome e un cognome.

 

Meglio, un cognome e un nome, in maniera del tutto burocratica, come quando si faceva l'appello a scuola oppure come capita ancora oggi all'atto di compilare un modulo. Erminio Giana era un sottotenente del quarto Reggimento del Battaglione alpino Aosta. Muore nel 1916 sul monte Zugna. È un giovanissimo, come tanti altri caduti della Prima guerra mondiale, ha appena 19 anni. A Gorgonzola decidono di ricordarlo giocando a pallone. Nel 1931 nasce la società di calcio che, un anno dopo, assume la denominazione con cui è conosciuta oggi. Prima Erminio Giana, poi – neppure in città sanno bene quale sia stato il momento preciso – Giana Erminio.

 

Quella della Giana è una storia particolare, vissuta interamente tra i Dilettanti fino a quando non si concretizza la promozione in Lega Pro nel 2014. Un evento a firma doppia, quelle di Oreste Bamonte e di Cesare Albè. Il primo è un industriale caseario originario di Battipaglia. Prende la società in mano nel 1985 e, dieci anni dopo, chiama in panchina Albè, un tecnico dalla storia come mille altre tra i Dilettanti. Scopre il pallone in oratorio, alla Pierino Ghezzi, diventa allenatore nel 1980 e passa le domeniche divertendosi (o arrabbiandosi) sui campi di provincia, alternando un lavoro vero al calcio. Centra buoni risultati al Cassano, viatico per l'approdo a Gorgonzola. I risultati non arrivano subito ma, quando si sbloccano, alla Giana sono infallibili. Si parte da una delusione, una caduta in Promozione nel 2011, poi subito tre campionati vinti di seguito, fino ad arrivare a quella che oggi conosciamo come serie C.

 

Un evento che sconvolge il quotidiano di Albè, costretto a iscriversi a 64 anni al corso per allenatori: il patentino è obbligatorio tra i professionisti, tra i compagni di corso del 2014 c'è anche Rino Gattuso, che va perfino a vedere un Monza-Giana per aggiornarsi. In serie C cambia la vita, ma non cambiano le abitudini. Albè continua a fare il punto della situazione con Bamonte ogni sabato mattina, nella sede del Caseificio Salernitano. Confronti molto accesi, fino al litigio: sono due personalità forti, che comunque si stimano. Un'avventura comune che continua fino al giugno di quest'anno, quando l'allenatore decide di farsi da parte dopo ventitré stagioni ininterrotte. Sempre in sella, nonostante tre retrocessioni: “Speravo in un licenziamento, per sentirmi qualcuno...”, racconta.

  

Lascia a 68 anni con uno stipendio da 1.040 euro al mese, cui aggiungere la pensione da impiegato alla Siemens. Con lui la Giana ha un quinto posto, con relativi playoff, come migliore risultato della storia. Albè ora è vicepresidente con delega all'area tecnica, come successore ha scelto Raul Bertarelli, suo secondo per quattro anni. Lo ha presentato dicendo “se andasse male, sarebbe una sconfitta per me”. E le cose non stanno andando benissimo, con un terzultimo posto nel girone B. La Giana paga per una squadra fatta, come al solito, con molti giovani e poche risorse economiche a disposizione. Inevitabile, quando si vive all'ombra di Inter e Milan. Anche se dalle parti di San Siro, dopo una settimana devastante, non è che se la passino benissimo.

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