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Il documentario di Netflix sul Sunderland è una preghiera al calcio

Emmanule Michela

“Sunderland Til I Die” è la storia dell'anno terribile dei Black Cats, che ha messo in crisi la squadra e con essa una città intera

C’è la foga del calcio, ma pure la rabbia di una città che non si riconosce più nella sua squadra. E poi la preghiera, quella di padre Lyden-Smith, sacerdote cattolico che viene ritratto davanti a una chiesa piena di sciarpe bianco-rosse mentre recita la sua inusuale orazione: "Preghiamo per il Sunderland e per la nostra città. Aiutaci a comprendere cosa significhi il calcio per la nostra comunità, mostraci come il football possa aiutare a unirci". Perché a vedere certi risultati c’era da diventare matti dall’irritazione, meglio quindi rivolgersi al cielo e chiedere aiuto. Tutto ciò fa parte di “Sunderland Til I Die”, l’ultimo documentario firmato Netflix dedicato al mondo del calcio, che racconta in otto puntate (dal prossimo 14 dicembre) la terribile stagione dei Black Cats 2017-18. Un annus horribilis in cui la squadra si trovò praticamente sempre in fondo alla classifica di Championship, la serie B inglese, subito dopo essere scivolata giù dalla Premier League. Alla fine di aprile arrivò il drammatico finale, con la retrocessione in League One, dove il club ritornò per la prima volta dal 1988. Due salti in basso in nemmeno un anno, vissuti dai tifosi in un turbinìo di emozioni. Lo sconforto per i risultati, l’ansia per una classifica che mai sembra sorridere, la crudezza del tifo più deluso, la nausea per una società sempre più inconsistente. Ma pure la vicinanza e il sostegno costante ai propri colori.

 

 

A produrre la serie è stata la compagnia Fulwell73, che al calcio inglese ha già regalato una pellicola sulla Class of ’92 del Manchester United. Il legame della casa di produzione col Sunderland però è diverso: già nel loro nome è impresso un riferimento al vecchio stadio dei Black Cats, che qui nel ’73 appunto vinsero la loro ultima FA Cup. "Nessuno ama il calcio come Sunderland, nessuno ha bisogno del calcio come Sunderland", è quanto scrivono i produttori, loro stessi tifosissimi dei Black Cats. "Quando le maggiori industrie navali e minerarie sono cadute nel dimenticatoio, il Sunderland è diventato ben più importante come linfa vitale di questa città unica nel nord-est dell’Inghilterra. I suoi tifosi sono conosciuti per essere tra i più appassionati e fedeli. Ma cosa succede se cominciano a perdere pure la loro squadra?".

 

 

Chi ha potuto vedere in anteprima la serie (ad esempio Soccer Illustrated) parla di qualcosa di diverso rispetto ai documentari visti fino ad oggi sul calcio. Netflix già si è resa protagonista di alcune produzioni dedicate alla Juventus o al Boca Juniors, mentre su Amazon Prime è disponibile una serie sul Manchester City. “Sunderland Til I Die” non è nulla di tutto ciò: "Il film non vuole rendere glamour il gioco o i calciatori, semmai mette in luce la comunità e la città", scrive Soccer Illustrated. "Dopo ogni vicenda viene raccolta la reazione di un tifoso, poiché sono coloro che conducono la storia". Insomma la serie vuole raccontare il calcio nella sua dimensione più popolare e cittadina, inseguendo quegli esempi di realtà sportive che ancora hanno un legame stretto con il tessuto urbano e sociale che rappresentano. Sunderland è così, tanto legata al suo club quanto al derby con gli odiati vicini di casa del Newcastle. Una piazza calcistica che negli ultimi anni ha visto alternarsi allenatori e calciatori dai nomi famosi, senza che però riuscissero mai a dare un’impronta vera alla squadra. Eppure, quando quest’anno hanno esordito in League One, c’erano ben 31mila tifosi ad assistere al match contro il Charlton, riscrivendo il record di pubblico (fermo a 19mila) della categoria. 

  

Per una volta, quindi, a bucare lo schermo non sono l’ultima acconciatura di un calciatore o il suo scarpino fosforescente, ma i tifosi e la loro passione. "Fede e calcio vanno mano nella mano", è quanto dice ancora padre Lyden-Smith, in un’altra scena della serie. "Per certi aspetti lo Stadium of Light è come se fosse una grande chiesa, che unisce tutte le fedi". 

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