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Giovani, mercato, diritti e sponsor. Il Milan può tornare grande così

Leo Lombardi

Il nuovo ad rossonero Ivan Gazidis prende una società con un fatturato fermo da 15 anni ma un appeal che regge ancora. Più che alle vittorie, si punta ai ricavi

Ora tocca all’acquisto più importante, a chi deve riportare il Milan tra quelle grandi un tempo familiari: altro che il Dudelange o l’Europa League. È un dirigente, non un giocatore. Uno che fa la differenza. Il fondo Elliott ha voluto Ivan Efthimios Gazidis non appena si è ritrovato proprietario del Milan. Un corteggiamento chiusosi il 5 dicembre, con la nomina ad amministratore delegato. Lui perché, come aveva spiegato il presidente Paolo Scaroni tempo addietro,“il Milan ha il problema vitale di aumentare i ricavi, sono gli stessi del 2003 a fronte di stipendi doppi o tripli dei giocatori. Non c’è un mecenate, occorre percorrere un’altra via, come ha fatto Gazidis”. Contratto fino al 30 giugno 2020, un anno e mezzo in cui l’ad dovrà togliere le rughe a un brand popolare ma che fatica sui fronti che tengono in piedi un club: quello sportivo e quello commerciale. E Paul Singer, il “signor” Elliott, non vuole perderci con il Milan, diventato cosa sua all’eclissarsi estivo di Li Yonghong.

 

In nove anni all’Arsenal ha quasi raddoppiato il fatturato. L’ultimo regalo, 35 milioni dal Rwanda per uno sponsor

Conosce bene Andrea Agnelli, è membro del comitato esecutivo dell’Eca. Saranno alleati in un calcio da rifondare

Un compito complicato ed esaltante al tempo stesso attende Gazidis. Deve ricostruire, ma senza ripartire da zero. Perché, nonostante un ultimo scudetto vinto nel 2011 e un’ultima Champions sollevata nel 2007 (e questa è la quinta stagione consecutiva di assenza dal torneo), il Milan resta una delle squadre più popolari al mondo.

 

Lo racconta il Report Brand Finance 2018, in cui la squadra rossonera è undicesima in classifica per riconoscibilità del marchio. Il problema sorge quando si va ad analizzare il valore del club, stimato 286 milioni di dollari (e si scivola in 19ma posizione). Poco, pochissimo agli occhi della nuova proprietà. Soprattutto se paragonati a un Arsenal, che ha vinto l’ultima Premier nel 2004, che non ha mai portato a casa una Champions, ma che del torneo è stato ospite fisso dal 1998-99 alla scorsa stagione. I Gunners valgono un miliardo e 830.000 dollari, dietro a realtà come le due Manchester o la coppia Real-Barcellona, ma davanti a competitor ben più ricchi, a cominciare dal Psg. Una società indicata come modello gestionale, per questo Singer e suo figlio Gordon le hanno strappato il direttore esecutivo. Conoscono benissimo l’Arsenal, come tifosi e come uomini di conti. E questi devono essere in attivo, sempre.

 

Gazidis era arrivato a Londra il 1° gennaio 2009, con una storia da raccontare. Ha origini greche e passaporto sudafricano perché nasce a Johannesburg, dove il padre Costa studia medicina alla Wits University, la stessa di Nelson Mandela, di cui diventa sostenitore nell’African National Congress. Quando Ivan nasce, il 13 settembre 1964, è in carcere per attività sovversiva. Ne esce nel 1967 e, dopo due anni, i Gazidis salutano il Sudafrica. Prima Portsmouth, quindi Edimburgo, infine Manchester, dove il ragazzo frequenta la Manchester Grammar School per poi andare a Oxford per laurearsi in legge e scoprire come il pallone, amato da sportivo e da tifoso (gli attribuiscono una passione per il City), possa diventare una professione. Vola negli States nel 1992, nel 1994 entra nella neonata Major Soccer League, fino a diventarne vicecommissario nel 2001, supervisore dell’area marketing e business. In Europa si accorgono di lui, lo vorrebbe il thailandese Thaksin Shinawatra, per breve tempo proprietario del City prima dell’avvento degli sceicchi emiratini. Gazidis si lascia convincere dall’Arsenal dove, in nove anni, ha un effetto dirompente. Quando prende il comando come direttore esecutivo, il fatturato è di 263 milioni di euro. Se ne va dopo averlo portato a 487,6 milioni, come riferisce il rapporto “Deloitte Money League 2018”. Una cifra che vale il sesto posto in Europa, lasciandosi dietro – per capirci – il Psg (ancora) e il Chelsea. La Juventus è a 405,7 milioni mentre il Milan, in un 2016-17 orribile, è uscito per la prima volta dalla top 20, con 191,7 milioni. Nel 2009 l’Arsenal incassava poco più di 6 milioni da Emirates come sponsor: sono diventati 45. Dal partner tecnico Puma sono giunti 33 milioni e mezzo, ora ne saranno incassati 68 a stagione dall’Adidas, tornata a vestire i Gunners dopo 25 anni: un contratto firmato a ottobre, l’ultimo regalo di Gazidis. E se uno guarda la manica sinistra dei giocatori, trova scritto “Visit Rwanda”, uno spazio da 35 milioni all’anno. Giungono dalla nazione in cui il presidente padre-padrone Paul Kagame è il primo tifoso dell’Arsenal (nel 2012 chiedeva l’esonero di Arsène Wenger) ma con un pil che è appena il numero 141 al mondo.

 

Cifre che fanno effetto, se prese da sole. Un effetto che aumenta se paragonate a quelle del Milan, che non raggiunge 30 milioni tra maglia e sponsor tecnico – Emirates e Puma come l’Arsenal –, dopo aver perso per strada i più sostanziosi Audi e Adidas. Gazidis è chiamato a risollevare i conti. Deve muovere un fatturato fermo da quindici anni, in una realtà complicata come quella italiana. Da noi non ci sono i ricchi diritti tv di una Premier valutata 2 miliardi e 700 milioni, che diventeranno cinque nel triennio 2019-22. In Italia il calcio è stato venduto a Sky e Perform per poco meno di un miliardo e il Milan, nell’ultimo bilancio, ha messo 109,3 milioni per diritti audiovisivi e media. Appena un milione in più del WBA, ultimo nel 2018 in Inghilterra. Inghilterra dove un secondo punto di forza sono gli impianti di proprietà, un percorso sul quale il Milan si è incagliato dopo il tentativo fallito del ministadio a firma Barbara Berlusconi. Un fronte su cui si muoverà l’ad rossonero, di concerto con l’Inter, per capire che cosa fare di San Siro e studiare alternative.

 

Gazidis ha ricevuto carta bianca. Sarà il referente sportivo, finanziario e commerciale. Dirà l’ultima parola sul mercato di Paolo Maldini e Leonardo. Non ama le operazioni con gli over, ma quelle per Zlatan Ibrahimovic e Cesc Fàbregas sono avviate e non si opporrà. Il modello sarà l’Arsenal, con giovani da valorizzare (e il vivaio del Milan è ancora generoso) e vendere. In perfetto stile Beppe Marotta, che si appresta a diventare suo vicino di casa all’Inter dopo essersi congedato dalla Juventus, convinto che le società si reggano ancora sulle operazioni di mercato piuttosto che sul marketing: vedi Cristiano Ronaldo. Una posizione che comunque oggi paga, visto quanto il portoghese sta portando a livello di immagine al club, aumentandone la forza al momento del rinnovo dei contratti.

 

Gazidis conosce bene Andrea Agnelli, è membro del comitato esecutivo dell’Eca, l’associazione delle big d’Europa oggi presieduta dal numero uno bianconero. Saranno alleati in un calcio italiano da rifondare. La Juventus ha segnato la strada, con un proprio stadio e con iniziative commerciali che hanno incrementato la popolarità del marchio, cui aggiungere i soldi garantiti dalla costante presenza in Champions. Il Milan riparte dal brand e insegue l’Europa che conta, in attesa che la stessa Europa (con il volto dell’Uefa) decida tra pochi giorni l’entità della multa da infliggere per non aver rispettato il Financial Fair Play dal 2014 al 2017. L’obiettivo primario è tornare in una Champions sempre più ricca, con un montepremi che vale quasi due miliardi e in grado di determinare le fortune dei club: una qualificazione agli ottavi per il Napoli vale più di 50 di milioni. Gazidis lo sa, in nove anni di Arsenal, ha vinto appena tre FA Cup ma ha mancato una sola volta la zona Champions. L’obiettivo minimo è un Milan tra le prime quattro in Italia per tornare nell’Europa che garantisce soldi. Quello che oggi serve.

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