Il primo Inter-Milan fu un derby sovranista

Giovanni Battistuzzi

La prima sfida tra le due squadre milanesi. Stranieri sì, stranieri no e quello strappo attorno a un tavolo rossonero che portò alla creazione dei nerazzurri

Tutto era finito attorno a un tavolo. E attorno un tavolo tutto era iniziato di nuovo, ma in modo diverso. Una litigata di quelle da cui non si torna indietro: muso contro muso, muro contro muro, pure qualche minaccia di passare alle mani. Nessuno le alzò però, si sentì solo il frusciare vociante di una ventina di uomini col cappotto che si alzavano e una porta che veniva sbattuta alle loro spalle.

 

Erano i primi giorni di marzo, quelli del 1908, e su Milano brillava il sole benché tirasse fastidiosa la Tramontana. Erano i primi giorni di marzo e quello che tutti sino allora sapevano, che sotto la Madonnina c'erano solo due colori, il rosso e il nero, non sarebbe stato più così. Perché scese la sera del 9 di marzo e attorno al tavolo del ristorante L’Orologio di via Giuseppe Mengoni, quattro passi da piazza del Duomo, una quarantina di persone avevano deciso che sotto la Madunina non poteva esserci una sola squadra che giocava al futbòl, il Milan Football Cricket Club. Ce ne poteva benissimo essere un'altra. Quarantatré uomini, quarantatré firme, un foglio di carta con su scritto che quel giorno, quel 9 marzo 1908, c'era qualcosa di nuovo in città, c'era una maglia nero e azzurra, perché “questa notte splendida darà i colori al nostro stemma: il nero e l'azzurro sullo sfondo d'oro delle stelle”, scrisse il pittore e illustratore Giorgio Muggiani, uno dei fondatori. C'era soprattutto un nome che era tutto un programma, soprattutto una risposta ai cugini rossoneri: Football Club Internazionale, “perché noi siamo fratelli del mondo”.

 

Internazionale, almeno sulla carta, perché fu subito Inter. Per tutti. Internazionale, mica come gli altri, i rossoneri, chiusi nella loro italianità, “incapaci di aprirsi alla modernità”. D'altra parte avevano litigato proprio per questo. La maggioranza dei soci aveva votano No alla proposta di tesserare giocatori di diversa nazionalità da quella italiana. E così l'artista si arrabbiò, si guardò attorno e capì che come lui la pensavano in molti, non la maggioranza, ma abbastanza per pensare di creare un'altra squadra. 

 

Muggiani non era un'europeista, dell’internazionalismo se ne fregava abbastanza, ma aveva studiato in Svizzera e lì aveva molti amici. Qualcuno pure bravo, anzi molto bravo col pallone. In un campo da gioco aveva conosciuto un giovane luganese che si chiamava Ermanno Aebi, lo considerava “il maggior talento di questo inizio di secolo” e non si sarebbe mai perdonato di vedere lo svizzero in qualche altra squadra. E poi era ambizioso, si considerava abbastanza capace ed esperto da poter guidare una squadra. O almeno di farlo meglio di quanto stava facendo Giovanni Camperio, che sempre più spesso sostituiva nelle occasioni mondane e sportive il presidente Alfred Edwards e il vice Edward Berra Nathan. I due non si piacevano, il “sovranismo” ante litteram del primo, fu l'elemento scatenante dell'ultima lite, quella decisiva.

 

La nuova compagine si trasferì verso Ripa Ticinese, il quartiere nei pressi del Naviglio Grande di Milano. Ma la vicinanza del canale obbligava al noleggio di un barchino e la necessità di stipendiare un uomo che ci sapesse stare in equilibrio per agguantare con una rete i palloni finiti in acqua. Palloni che poi si appesantivano e diventavano inutilizzabili. Per questo Muggiani, grazie ai contributi di alcuni amici di Zurigo, riuscì ad affittare l'Arena Goldoni – a Piazza Novelli che all'epoca si chiamava Piazza Gustavo Modena –, campo molto più in centro rispetto a quello dei rossoneri che giocavano allora in periferia.

 

Milano si divise una notte di primavera. Le sue compagini vagarono un po’ seguendo ognuna la propria strada. Queste si incontrarono un pomeriggio d’autunno, ma lontano dalla Madonnina, centinaia di chilometri più in su, appena al di là del confine, Chiasso. Il campo era quello del Gas, i milanesi in trasferta diversi, ma non moltissimi, il treno lo stesso: rossoneri e nerazzurri tutti nello stesso convoglio che partiva dalla stazione dell’Ortica, maglie già addosso che di spogliatoi non ce n’erano, qualche fiasco di vino per tenersi caldi e qualche mazzo di carte che non si sa mai. Per tutti gli altri venti centesimi per un biglietto, che lassù, “inisvizzera”, erano poco più di un panino dal fornaio.

 

Derby sì, ma amichevole, o quasi. Ci si giocava la Coppa Chiasso, che altro non era che un torneo ad inviti organizzato dalla società di casa. Un buon modo per Muggiani di far vedere agli amici elvetici che lui la squadra l’aveva fatta davvero. E che squadra, una squadra internazionale con gente che poteva venire a giocare da tutta Europa. O almeno questa era l’intenzione, perché in campo altro non c’erano che milanesi e svizzeri. E pure un piemontese Giuanin Capra, che nonostante fosse nato a Mercenasco e simpatizzasse per il Football Club Torinese appena vedeva rossonero impazziva: 12 gol in 13 partite.

 

Derby sì e già finale. Perché il Milan aveva vinto 2-0 contro il Circolo Juventus Bellinzona e l’Inter 1-0 contro l’Ausonia. Ma finale sui generis: venticinque minuti per tempo e porte un po’ più alte e un po’ più strette del dovuto, ma tant’è, questo c’era.

 

Derby sì e pure bello. Da una parte Pierino Lana, per tutti Fantaccino perché basso e leggero, ma capace di fare qualsiasi cosa col pallone. Dall’altra quell’Aebi che il Milan non voleva tesserare, perché lo spirito nazionale doveva essere preservato, ma che all’Inter rappresentava il meglio che si poteva trovare in campo. E sì che Aebi era pure nato a Milano. E in rossonero c’erano pure tre svizzeri, ma in prestito perché i titolari non potevano assentarsi dal lavoro, e un tedesco, ma che già giocava lì prima della svolta societaria. Ed era pure forte, tanto forte da non costituire un problema il suo passaporto.

 

Derby sì e rossonero. Perché Lana portò in vantaggio il Milan, Payer I pareggiò, Forlano chiuse: 2-1 per i futuri Diavoli.

 

Nel gennaio del 1909 al Campo Milan di Porta Monforte venne disputato il secondo derby tra Milan e Inter, il primo valido per il campionato italiano. E anche questa volta i rossoneri riuscirono a primeggiare. La partita finì 3-2 e per il Milan segnarono Trerè II, Lana e Laich. Fu l’ultima volta che il derby ebbe una matrice identitaria. Pochi mesi e qualche sconfitta dopo il Milan tornò sui suoi passi. A metà del 1909, quando Piero Pirelli comprò i rossoneri e assunse la presidenza confidò al Corriere della sera che “basta così, il giuoco del pallone è alfabeto universale ed è assurdo pensare che debba parlare solo l’italico verbo”. Anche perché Pirelli aveva già acquistato Max Tobias, che allora era tra il meglio che si poteva avere a centrocampo e trovare un passaporto italiano a un belga era ancora cosa impossibile.

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